"Corrispondenze"

 
 

Giovanni Chiellino
  
Le tue finestre a Settentrione
                                   (a Giovanni Chiellino)

Un alibi di mare spiazza
le tue finestre a settentrione
e muta in paradosso di certezze
la distrazione
dell’anima ad oriente
laddove trascolora
crivellata
da un punto di domanda.
Chi sei tu?
Chi io?
E chi la cerva Ifigenia,
Didone la regina?
Quale la posta
al gioco di Nessuno,
cosa la vita?
Un chiasmo,
un lemma
o solo una cesura?
O forse il diapason
che ci segna il tono
per accordarci il moto
a ignoto cielo?

Nel traffico degli astri
persino mute le armonie celesti
alzano acre la polvere del tempo
ed è spavento madido
l’ambrosia del silenzio.

Ma i Poeti nascono al Sud.

( agosto 2011) 




Gino

Gino Kalby

Tu sarai
l’aria
che intorno a me
ripeterà il nonsenso
dell’altra rotta
che mi tradì l’attesa
e mi ha lasciato in gola
del tuo rauco gioire
l’evidenza
che troppo presto
ti ha rapito, vecchio,
l’onda d’oro di Stige
se i tuoi anni
erano grano dolce
che si sgranocchia al fuoco
nemmeno io
cantando
sono riuscita
a non voltarmi indietro.


(da "Se il resto tace" 2002)






Mario Trufelli

  Al poeta
                                                                        a Mario

Indossa la città
l’arrivederci
sorvola l’anima
eco di tetti
ignora
la nostra terra.
Petali e grilli
fondono
il sonno alle colline
al collo delle cime
sanno essere gli addii
cappi d’eterno.
Attendono il gran ballo
le principesse ancora
                                                   e la tua mano.
                                                   Sopra i tuoi versi
                                                   puntato ho lune
                                                   di marzapane.

(da "Se il resto tace" 2002)






Vito Riviello

 Ciao Vito,
tu vuoi che io sia Potenza e io Potenza sarò per te; sarò questa città che tace e non dimentica, che tace per pudore, che bacia i figli suoi nel sonno, che tace per timore di non essere all’altezza o per l’invidia paesana del distacco. Tace, ma non dimentica e accoglie a braccia aperte lo straniero e chi straniero si è fatto di volto e di maniere, ma non di cuore. E il cuore, Vito, di chi qui è nato (Vito, tu lo sai meglio di me se vuoi che io palpiti per te il sangue di queste strade) non può cambiare, nemmeno nei trent’anni che sembrano una vita, nemmeno in una  vita che in fondo è un conto d’anni e non un universo di pensieri.
Forse è per questo che ti sto scrivendo, mentre ti so lontano e continuo a pensare alla piega della tua voce che ieri sera pronunciava il nome di questo posto che mai, se vuoi credermi, è stato più tuo.

domenica 14 marzo 2004                   Ti abbraccio
                                                 Anna
                                                




Martin Bradley
a Martin

Se la finestra cieca si spalanca,
se la finestra cieca che rinserra
dalle rughe silenti della fronte
lascia evadere il senno
come fuggiasco liquido nell’aria
megera di una luna
acerba cicatrice in petto al cielo,
resta la meraviglia come un segno
aguzzo che si fionda
in un’ottava
poco al disopra della follia.
La via
è l’estasi profonda che ci attende
quale grafema ignoto,
puro frammento immoto
che circoscrive il mondo.

In fondo
andare non è sperare
un porto.

aprile 2006  







un' opera di Gerardo Corrado D'Amico

Gerardo Corrado D’Amico non c’è più da un anno. Gerardo c’è. C’è di certo per quanti lo hanno amato, per i suoi fratelli, per i suoi nipoti. C’è per me; il mio Rudy, la sua leggiadra vanità, la sua volontà che io non lo vedessi malato, la mia scelta di non vederlo morto, di non seguire la sua bara, sono ancora qui, nei miei occhi, nella mia casa, come il suo numero di telefono mai cancellato, come i titoli dati insieme alle sue opere, come le sue verità celate e dette solo in uno sguardo. Gerardo c’è per gli amici di sempre, perché il suo nome riecheggia di continuo nei discorsi degli artisti della sua generazione come se egli fosse con loro; era del gruppo ed al gruppo appartiene ancora. Ma Gerardo deve esserci per tutti, perché la sua opera ha scritto pagine della storia dell’arte lucana che non si possono ignorare  né tanto meno si possono affidare soltanto alla sensibilità di qualcuno, di un parente, di un giornale, di un amico.
Strano paese, questa Basilicata, strano modo di promuovere la cultura! Da sempre, purtroppo, il destino infausto degli artisti è stato quello di trovare riconoscimenti solo dopo la morte, quasi che soltanto l’evanescenza della loro figura di uomini riuscisse ad illuminare le loro opere, a far decifrare i loro messaggi, a dar misura alla loro grandezza. Qui da noi non basta neanche morire. Passano gli anni, cambiano le amministrazioni comunali, i governi provinciali e regionali si avvicendano, ma l’arte resta la rutilante tappezzeria delle città, il botto di fine d’anno, il costosissimo fiore all’occhiello di borghi e paesi dai mille problemi, tanto per non voler sospettare il  peggio. E già, perché anche il peggio potrebbe esserci a giudicare almeno dalla, a quanto pare assai poco condivisa, scelta di impiego di denaro pubblico, o dalla inesistente scientificità nella selezione di brutture orripilanti che i cittadini dovrebbero accettare per arte solo perché opera di qualcuno che, chissà per quali meriti, è visto di buon occhio  senza nemmeno (miracolo!) essere morto.
Sono passati ormai quasi quindici anni dalla morte di Rocco Aristide Guarino, ancora di più da quella di Francesco Ranaldi, se ne è andato Gerardo Cosenza, da un anno di Gerardo Corrado D’Amico non ci resta che lo spirito immortale, ma quel poco che è stato fatto per non annerire nell’oblio i loro nomi è venuto dall’impegno dei privati e dalle risorse di quanti non vogliono perdere il patrimonio inestimabile che tutti loro sono. Chi storicizza questi artisti? Chi eviterà che, come è già successo, uno dei tromboni della critica, affezionato alle mostre dai costi stratosferici, si permetta di affermare che in Lucania non esiste arte? E non si dica dei grandi numeri dei grandi eventi! Le centinaia e centinaia di visitatori delle eccezionali mostre di Palazzo Loffredo sono – e lo si sa -  in gran parte ragazzini delle scuole (elementari, medie e, a volte, persino materne) trascinati a forza a costi modici a non capire quello che vedono e a farsi l’idea che intorno, in questa Basilicata ricca e affascinante, dove l’espressione artistica si è svincolata da tempo dagli stereotipi leviani per farsi europea e poliglotta, l’arte sia inesistente o, al più, sia stata rapita e assassinata da quelle  invasioni tentacolari che a lungo hanno sovrastato sordide le scuole, il paesaggio, la città.
Grazie, Direttore, per aver dato voce ad un artista vero, Lei che non lo ha conosciuto, che non era nemmeno dei nostri quando lui se ne è andato; grazie a quanti lo hanno voluto ricordare sulle pagine del Suo giornale.
Ciao Rudy, amico mio, tenero amante del bello, discreto e gioioso interprete dell’avventura umana, figlio d’orgoglio per la sventura di questa terra ingrata; non sei  tu morto, morto è chi dimentica. Per chi governa l’ignoranza è una colpa.



da Il Quotidiano della Basilicata  del 15/12/2007