25 NOVEMBRE


ACCANTO A ME
di Anna R. G. Rivelli

Credevo che fosse una mamma. La mamma di un compagno del mio figlio più piccolo. Mamma come me, come tante. Donna soprattutto, con i suoi desideri, con le sue aspirazioni… con le sue gioie che erano nella famiglia, ma anche fuori, nel suo lavoro, nelle sue amicizie… Credevo che avesse una vita normale, fatta di alti e bassi come la mia, di fatica e di soddisfazioni. La vita di tutti, insomma. Così credevo. E invece…
Suo marito era mellifluo quando parlava del rapporto di coppia. All’inizio sembrava innamoratissimo, un po’ faceva tenerezza, ma era sdolcinato, troppo. Amore qua, amore là, tesoro su, tesoro giù… aveva queste parole sempre in bocca, ma io non capivo perché lei avesse sempre lo sguardo di un cane randagio quando lo guardava, due occhi che esprimevano attesa, ma un’attesa scoraggiata e delusa, un affanno di vivere forse, di correre dietro alla vita che si perdeva. Non lo capivo.
Poi un giorno… Era uno di quei giorni plumbei in cui gli ombrelli all'uscita di scuola fanno fatica a starci tutti, aperti e sgocciolanti, variopinti nella luce nebbiosa e densa. Lei sotto l’ombrello aveva gli occhiali scuri ed uno sbuffo violetto che smarginava dalla lente destra. Non era ombretto però.  Lo compresi allora quello sguardo da cane. Compresi che la sua vita non era la mia e non era quella di tutte le altre mamme là avanti. A dire il vero non era neanche vita la sua.
“Come faccio?” mi disse un giorno lasciando quegli occhi di cane riempirsi di lacrime sulla testa del figlio. “Dove  vado? Come vivo? E lui? Sarà dalla mia parte? Resterà con me?”
Non lo ha trovato lei il coraggio di riprendersi la sua vita; non ce l’ha fatta. Ci siamo perse di vista; lei non poteva avere amiche e la scuola dei figli neanche dura eterna, non c’era più la scusa per uscire. Se mi viene in mente la immagino in quella sua casa, murata come Raperonzolo, con i suoi lunghi capelli rossi troppo corti da calare dalla torre perché un principe la salvi. Qualche volta la incrocio per strada. Il marito  la tiene per mano. Sono una coppia normale. Ma lei ha quello sguardo da cane perduto nel suono infernale delle stesse parole “Amore, amore… tesoro, tesoro…”

                                                                        
                         

LILLINO MEMOLI, ZINGARO E RE


Da sempre, per tutti, è stato Lillino. Lillino Memoli: inconsueto ed infantile vezzeggiativo per una imponente figura di uomo, suono trillante, scampanellio di un nome che era onomatopea di un vivere leggiadro, di un carpe diem declinato in paradosso fino all’ultima ora. E se l’ultima ora è arrivata, solo qualche giorno fa, attesa eppure così improvvisa e traditrice, se l’ultima ora è arrivata – dicevamo - non è finito il tempo di quest’uomo che per Potenza e per la Basilicata è stato un tempo moltiplicato, uno straordinario percorso di crescita, un balzo in avanti, un tuffo nello stupefacente mondo  senza confini dell’arte.

La Galleria Memoli Arte Contemporanea inaugurò la sua attività nei primi anni 80, poco dopo il rovinoso terremoto che colpì Irpinia e Basilicata; fu questo, tra pochi altri, un nuovo inizio, una speranza per una terra ferita da cui subito molti pensarono di andare via. Da allora, e sono passati quasi trentacinque anni, l’attività della galleria non solo non è mai cessata, ma, di più, la Memoli Arte è stata un punto di riferimento culturale fortissimo, oltre che sala espositiva in cui si sono avvicendati con le loro opere artisti di fama internazionale quali, tanto per citarne alcuni, Remo Brindisi, Ercole Pignatelli, Franco Valente, Martin Bradley, Franco Marrocco, Nino Mustica, Maurizio Galimberti. Spesso cenacolo di artisti e di intellettuali, la Galleria ha avuto il merito di non poco conto di essere stata una sorta di vivaio per i giovani artisti lucani dell’epoca, quelli che oggi costituiscono già un capitolo importante della storia dell’arte della Basilicata e che in quegli anni avrebbero forse vissuto quella marginalità così connaturata alla nostra regione se non fossero stati posti in dialogo e proiettati nel più vasto panorama internazionale. Ma la Memoli Arte non è stata soltanto Potenza; ha spaziato con la sua attività a Maratea per moltissimi anni, a Busto Arsizio, a Milano, a Matera; ha intercettato un pubblico vasto, ha iniziato al bello dell’arte almeno due generazioni, incentivando un collezionismo forse prima inesistente in città. Certo era un mercante Lillino, e del mercante aveva il parlare netto, il pragmatismo scanzonato, il sorriso accattivante ed il suadente piglio malandrino che è nello sguardo di chi sa essere zingaro e re senza cambiare pelle né cuore mai. Perciò di lui assente non si può parlare se non come se fosse  ancora qui, a guardarci tutti, irruente in privato, schivo e quasi del tutto defilato in pubblico; sarebbe un torto     per lui un elogio al di sopra delle righe, un incensare vano che lo rendesse morto davvero. “Da questa città ho avuto tanto – ha detto ai familiari e agli amici più cari quando già la malattia lo consumava – da questa regione ho avuto tanto; mi hanno consentito di vivere facendo quello che mi piaceva fare. Perciò ora è venuto il momento di restituire tutto”. Queste sono state le sue volontà ultime, un progetto a cui febbrilmente aveva preso a lavorare quando ancora diceva che ce l’avrebbe fatta, per guadagnare giorni alla vita ed ingannare la morte che, come lui diceva, voleva lo trovasse vivo. Così alla sua famiglia e ai suoi amici ha chiesto l’impegno di una fondazione finalizzata a dotare la città di uno straordinario museo di arte contemporanea e questo è stato il suo scopo fino all’ultimo giorno. Perché Luigi (Lillino) Memoli lo aveva capito che alla sua partenza mai più un rosso sarebbe stato rosso in questa città, né mai più un giallo, un azzurro, un verde, quando la luce dei suoi occhi, profondamente e sinceramente innamorati della bellezza, si fosse affievolita a questo mondo. È venuto il momento di restituire tutto” ha detto; e così ha deciso di restituirci i colori. Ma Lillino era scaltro mercante: il prezzo che ha chiesto in cambio è stato l’eternità. Il Museo di Arte Contemporanea Luigi Memoli si farà. E lui sarà vivo per sempre.

                             Anna R.G. Rivelli
                                      da Il Roma 13/11/2017