Dire inverno era poco, dire bianco era nulla, che il bianco uno se lo immagina d’incanto, gonfio di luce fresca, non muto, ma pieno di suono assente. Invece era inverno, inverno d’un bianco smorzato, di ombre schiacciate nel cavo delle vie che sembravano andare addossandosi ai muri per schivare l’appiombo del cielo, un cielo eterno e tragico, gravido di spaventosa assenza di confine, un crollo d’aria gelida, un’esuvia abbandonata nel buco sconfinato d’universo profondo nero.
Chissà dove, rigenerato dove, ritornerà un pianeta; a quali cristi attribuirà l’essenza del suo stare mendace solo, quando sarà la terra, silenziata dal rigore dell’ultima stagione, solo un riflesso nell’infinito gioco degli specchi, un gracile bagliore dentro il buio sedotto dall’idioma di ere nuove.
Ed esuvie di noi che risaremo altrove non sapranno di esistere.
(da "Dei gesti in cui si sfrena la nostra moltitudine" - brochure - 2008)