Breve selezione vecchi articoli

Ho sempre creduto  che gli artisti e gli intellettuali non possono estraniarsi dal loro tempo, ma che piuttosto hanno nei confronti della società il dovere di una presenza sempre attiva e vigile nel dibattito culturale.

Qui di seguito  una brevissima selezione delle centinaia di articoli pubblicati in oltre 10 anni. 
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L’isola felice che non c’è
(da Il Quotidiano della Basilicata del 03/11/2006)

L’immagine di una Basilicata isola felice del Sud, così oleografica eppure così funzionale, va sbiadendo inesorabilmente sotto gli occhi di tutti, anche di quelli che hanno scelto il disimpegno come estrema ribellione ad uno stato di cose. Suppongo che non ci vogliano i morti ammazzati per accorgersi che qualcosa non va e suppongo che ai morti ammazzati (quelli per cui altrove si invoca l’intervento dell’esercito) ci si arrivi solo dopo la lucida e costante elaborazione di un percorso che non mi pare qui del tutto estraneo. Ma prevenire sarebbe meglio che curare! Purtroppo al cittadino non resta che la parola, quella che non sempre riesce a far paura, ma anche quella che aggrega, quella che fa capire che, al di là di quel percorso, potrebbe esistere un’altra via se  tanti, finalmente, gridassero il proprio disappunto piuttosto che starsene dolenti a contemplare i fatti e i misfatti che ci fanno rimpiangere spesso anche quel passato politico di cui volevamo a tutti i costi liberarci. E non parlatemi di Destra e di Sinistra, non di Centro. Non sputate sui morti, sui martiri, su quelli che hanno sbagliato e pagato in nome di un’ideale, su quelli che nelle piazze facevano sul serio, su quelli che scrivevano la storia spremendo il proprio sangue. Non parlatemi di Maggioranza e di Opposizione. Contate le poltrone giocate a morra, quelle vuote contro il numero legale e quelle piene di una logica clientelare e partitocratrica che supera ormai i limiti di qualsiasi spettro di decenza; date uno sguardo a questa democrazia oligarchica per cui destra, sinistra e centro sono solo una ubicazione e spiegatemi che c’entra tutto questo con gli ideali, con i programmi, con il popolo, con noi tutti. Dice bene il radicale Bolognetti, l’ultimo atto della Regione Basilicata è stata un’anticipata Epifania; la notte delle nomine, evidentemente distribuite secondo il criterio ludico dei quattro cantoni (chi si alza da una sedia trova posto in un’altra), ha dato ragione a chi  con una lucida coscienza del vero si è sottratto in anticipo ad una spartizione figlia di padre ignoto, visto che cotanto parto è stato vigliaccamente affidato (o attribuito) ad un  tutto femminile notturno travaglio solitario. Felici tutti, però; ci sono tante donne!!! E questo è il peggio, quello che offende di più. Evviva le donne in politica se le donne sono portatrici di valori, se non si piegano al sistema, se sanno riportare l’aria che viene a mancare, altrimenti non servono che a differenziare le toilettes in Parlamento.
C’è qualcuno che ha il coraggio di far crollare il muro, di interrompere il silenzio, di spezzare l’unione?  Di credere che non serve restare per sempre incollati alla poltrona, perché nella storia si può restare con un solo atto di un giorno solo.








Alighieri il terrorista
(da Il Quotidiano della Basilicata del 10/05/2007)

C’è sempre un Welby; qualcuno per cui il canto della storia avrà parole più durature e forti di una Messa solenne. E c’è sempre pure un Andrea Rivera; c’è, ci sarà, c’è già stato. Quel terrorista dell’Alighieri, ad esempio, sommo poeta e spirito religioso di non comune levatura, circa sette secoli fa, e cioè nel pieno buio di un’epoca ancora (ancora come l’epoca presente!) incapace di distinguere tra catechismo e legge e tuttavia marchiata a fuoco da una Chiesa ufficiale in tutt’altre faccende affaccendata, interpretava il suo concertone del 1 maggio nel terzo canto del Purgatorio lasciando parlare l’anima di Manfredi di Svevia . “Orribil furon li peccati miei – dice il giovane biondo, bello e di gentile aspetto; poi continua – ma la bontà infinita ha sì gran braccia , / che prende ciò che si rivolge a lei.”  E poi ancora: “Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia / di me fu messo per Clemente allora / avesse in Dio ben letta questa faccia…” . Non serve andare oltre; vale piuttosto la pena tradurre per chi, preso così alla sprovvista, dovesse sospettare nel pastor di Cosenza  un esponente di qualche noto clan o in quel Clemente l’omonimo Ministro Mastella. Nulla di tutto questo, ovviamente. Nell’oscurità di un certo Medioevo, Dante Alighieri anticipava soltanto lo scandaloso Rivera, dicendoci che la bontà di Dio è tale da riuscire a perdonare sempre anche quanti, come Manfredi e Welby, sono fatti in diverso modo oggetto di scomunica da vescovi e papi. “Per lor maladizion sì non si perde / che non possa tornar, l’etterno amore, …” ribadiva per bocca di Manfredi il nostro sommo e celebrato poeta, praticamente come dire che la Chiesa non si è mai evoluta. Che cosa se ne può dedurre? Che il concertone del 1 maggio scorso sarà ricordato come “Divin Concerto” e Andrea Rivera ha già  buone speranze di eterna gloria? Che l’Osservatore Romano del XIV secolo si era solo distratto? Che la libertà di opinione e di stampa è andata scemando nei secoli o che l’oscurantismo dei nostri giorni non riesce a trovare paragoni nemmeno più in quello del Medioevo? Le persone che la pensano esattamente come Rivera non si contano e quelle rimaste allibite di fronte ad un Papa che non ha saputo avere fede nella bontà e nella forza del perdono di Dio sono forse esattamente le stesse che, pur credenti,  non hanno mai voluto rassegnarsi all’idea dell’esistenza di quell’atroce Limbo solo oggi, per decisione suprema, chiuso al pubblico per urgenti lavori di ristrutturazione ecclesiastica.
         Sarebbe meglio, a questo punto, riuscire a farlo dire a Dante che varrebbe la pena andare a dare un’occhiata a come vengono impiegati dalla Chiesa i fondi recuperati con l’otto per mille, magari fargli dire in versi che il 12 maggio, per l’organizzazione del Family Day, sarà celebrato il tripudio dello sperpero del denaro  che i cittadini offrono per i poveri e per i diseredati e che meglio si potrebbe impiegare, tanto per non allontanarci troppo dalla Chiesa-Famiglia, per sostenere e proteggere Don Luigi Ciotti, eccezionale prete scomodo, oggi minacciato come e più di Monsignor Bagnasco.  Ma Dante non c’è e allora un comune mortale, né comico, né poeta e nemmeno un po’ terrorista, non può che limitarsi ad invitare tutti gli uomini di buona volontà a sostenere la famiglia sempre ed in particolare il 12 maggio, ma nell’incontro che l’associazione Penelope terrà a Potenza per sostenere e dare voce alle oltraggiate famiglie di tutti gli scomparsi.







Clementina nel paese di Lilliput
(da Il Quotidiano della Basilicata del 07/12/2007)

Lemuel Gulliver, medico di bordo della marina britannica, sorpreso in viaggio da un tremendo naufragio, finì sopra una strana isola: il paese di Lilliput. Lì gli abitanti, alti all’incirca quindici centimetri, cominciarono a guardarlo con timore e con sospetto, perché il povero naufrago appariva loro un gigante smisurato anche se Gulliver in realtà null’altro era che un uomo.
Nel paese di Lilliput ancora oggi si continua a sbarcare; pochi naufraghi, in verità, perché tanti altri nella tempesta hanno capito bene che bisogna attaccarsi a qualche scialuppa per attraversare indenni l’oceano. L’ultimo arrivo sopra la strana isola  è quello del gip Clementina Forleo, anomala creatura che i nanerottoli di Lilliput, ma anche quelli della vicina isola di Blefescu, percepiscono come un rischio senza fine per la loro stessa sopravvivenza. Gli abitanti delle due isole dirimpettaie, infatti, non sono abituati a vedere donne e uomini normali e così, a forza di osservarli da destra e da sinistra, si convincono che una persona normale, sbarcata suo malgrado in un paese di nani, sia gigantesca per propria volontà, per esibizionismo, per sordido calcolo. Così Clementina nel paese di Lilliput sconta probabilmente il fio di non essere stata Alice dentro questa Italia delle meraviglie.
Difficile, sebbene – ci dicono – doveroso, è non esprimere dubbi riguardo all’operato del CSM, ma impossibile è non accorgersi che in Italia l’inadeguatezza e la mancanza di serenità dei magistrati si evidenzia sempre e soltanto quando nelle maglie delle loro inchieste finiscono i vip e i vip dei vip i quali, manco a dirlo, continuano a dichiararsi sereni e a riporre piena fiducia nella magistratura, ma evidentemente non in tutta la magistratura, se si affrettano senza troppi complimenti a preparare i bagagli a quelli la cui lingua è sventuratamente inciampata sopra i loro nomi.
In effetti che i magistrati non devono diventare eroi agli occhi del popolo è sacrosanto, perché questa evenienza tende a far perdere equilibrio alla macchina della giustizia, ma ciò che non c’è o che non si ha non si può perdere e la sensazione costernata della gente è purtroppo proprio questa: la bilancia della legge pende paurosamente da una parte e dà l’idea, come dice il Ministro Di Pietro, “dell’ utilizzo di due pesi e due misure tra eletti ed elettori”. Così certi giudici si trovano, come il povero dottor Gulliver, giganteschi eroi loro malgrado, forse perché quelli che alla gente dovrebbero assicurare giustizia e stabilità di governo sono diventati così piccoli che è difficile scorgerli nel mare in cui felice galleggia la loro privilegiatissima isola. Vale a dire che il fatto che taluni giudici finiscono per acquisire una certa aura di eroismo non è imputabile alla loro volontà di conquistare chissà quali agognati allori, ma più semplicemente ad una sproporzione che la loro figura di uomini e di difensori della giustizia evidenzia quando viene rapportata alla assoluta piccolezza di quelli che il popolo ha eletto perché, governando, fossero anche tutori della giustizia e della legalità.
Che i giudici possono sbagliare è d’altronde cosa più che certa, ma è strano che non si diano loro siffatte croci quando scarcerano assassini che poi bissano il loro delitto, quando archiviano procedimenti che non sarebbero archiviabili se la legge venisse applicata piuttosto che interpretata, quando dietro le sbarre finiscono (e anche questo succede) innocenti riconosciuti tali solo dopo molti anni;  se però non si conoscono i fatti (e i fatti è sempre più difficile conoscerli nella loro verità) non ci si può esprimere e perciò non ci si esprime. Lecito è però raccontare la fine reale della storia.
Nel corso del suo peregrinare Gulliver sbarca in un’isola sconosciuta dove incontra altri abitanti assai particolari: gli Houyhnhhm. Questi, che sono sapientissimi cavalli, sembrano prenderlo a ben volere e così Gulliver impara la loro lingua e gli parla; racconta le proprie tradizioni e spiega loro la Costituzione, ma alla fine viene il giorno in cui uno degli Houyhnhhm è costretto a dire al nostro eroe che proprio deve allontanarsi dal paese. Ah, potere della fantasia !!!









Lettera aperta al sindaco di Venosa
(da Il Quotidiano della Basilicata del 22/07/2007)

“Tu non ti domandare, è impossibile saperlo, quale destino gli dei ci hanno riservato…” …e non te lo domandare anche perché che nel nostro destino un giorno ci sarebbe stato un Fabrizio Corona nemmeno gli dei sarebbero riusciti mai a prevederlo. Così di certo Orazio, se avesse potuto leggere le ultime notizie da Venosa,  avrebbe proseguito il “Carpe diem , rivolgendosi non a Leuconoe, l’ingenua fanciulla che interrogava gli oroscopi babilonesi, bensì al Sindaco della nobile cittadina lucana che almeno in qualità di Primo Cittadino tanto ingenuo non dovrebbe essere. Il nostro Poeta senza ombra di dubbio avrebbe continuato a preferire la sua vita povera di avvenimenti vistosi e caratterizzata dalla semplicità, dall’intimità, dalla meditazione e da quel gusto raffinato del bello che, se poco hanno a che vedere con le Miss, men che meno trovano ombre di attinenza con la annunciata star della Notte Bianca.
Perciò quel “sapias” ( l’invito ad essere saggi che quasi conclude il citato carme) appare più che mai attuale, un monito per un’intera Amministrazione Comunale che si appresta a spendere soldi pubblici per patrocinare un evento non solo estremamente discutibile per l’aspetto culturale ( che sarebbe quale?), ma assolutamente inopportuno dal punto di vista morale dal momento che l’aitante giovanotto è sempre sotto inchiesta e lo è per questioni che sviliscono e defraudano anche l’aspetto giocoso e le aspirazioni legittime ( ma speriamo non uniche) delle ragazze che sfileranno per il titolo di Miss; e poco importa se l’organizzatore si affretta a precisare che i due eventi saranno staccati.
Sapias, Signor Sindaco, sapias ! Che cosa verrà a fare il pluritatuato Fabrizio? Non balla, perché ballerino non è; non canta, perché non è cantante. Farà il suo mestiere, ma non quello di fotografo che ben ci starebbe con tutti i tesori e le bellezze di Venosa, ma quello, che a quanto pare gli è più congeniale, di fottere  la gente, compreso lei signor Sindaco, per la modica cifra di 6mila euro. Ebbene sì! “Sarà solo, con un giornalista della Gazzetta che lo intervisterà” anticipa fiero Michele Duino. Ma cosa mai potrà dirci lui? Quali messaggi colti o almeno gratificanti potrà darci col suo non ricco vocabolario e con la spudorata arroganza delle sue invettive?  Confortante, però, è sapere, che dopo un’ora si dedicherà ai fan. A quali ? A quei giovani cui si cerca di dare ideali ? A quelli onesti disoccupati e senza reddito ? O magari a quelli che sperano in uno sviluppo dell’area del Vulture per non essere costretti ad  emigrare? Ma poi, c’è da chiedersi, esistono davvero accaniti sostenitori di personaggi così ?
Sapias, Signor Sindaco !   Ci sono tanti modi di svendere e di svendersi e in questi giorni ne vediamo di davvero originali. C’è chi tenta di vendere un lago (compreso di foresta) e chi rischia di svendere la faccia di una cittadina che è arte, è storia ed è bellezza per un’ora di veglia in cui francamente sarebbe più fruttuoso dormire.
E allora queste reginette lasciamole con i loro sogni fragili, ma senza Corona.









La libertà non teme forche
(da Il Quotidiano della Basilicata del 26/07/2007)

Se ai “tifosi… forcaioli politically correct” (la citazione dalla stampa locale è d’obbligo in certi casi) si aggiungessero imbroglioni, lecchini e schiavi si potrebbe semplificare il quadro di una intera società, adeguandosi agli schemi di chi sceglie di (o è costretto a) fabbricare valori per cose che ne sono prive. Ma le semplificazioni, si sa, sono per coloro che in nome del cervello annullano  il cuore e, peggio ancora, nei meandri del primo si abituano a coltivare la convenienza qualunque essa sia; o per quelli che amano promuovere il dibattito con l’invito alla Karl Kraus “Chi ha qualcosa da dire si faccia avanti e taccia”.
Per questo è bene non semplificare, piuttosto conviene fare esempi e rispolverare nella memoria il ricordo di quello che è stato il ruolo degli intellettuali  nel raddrizzare il corso della storia quando gli eventi si facevano tali da soffocare e schiacciare nell’uomo l’essenza stessa della sua umanità.  Non è forse l’Italia stessa debitrice alla militanza  (nessuno allora lo definiva “tifo”) di artisti e poeti saliti sulle barricate per il suo Risorgimento o armatisi per la sua Liberazione? “La servitù, in molti casi, - diceva  Montanelli – non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi” ed è da questa tentazione che bisognerebbe guardarsi, perché la parola ha un temibilissimo potere di risvegliare le coscienze e è per questo che da sempre è stata avversata, blandita, comprata, insultata, alla fine negata.
Bisogna smetterla, pertanto, di tentare di delegittimare l’impegno dei cittadini utilizzando il ricino della distorsione con il quale spesso si riesce ad esorcizzare il coinvolgimento del popolo e ad allontanare lo spettro della verità.
La donna decisa e fiera che guidava il popolo sopra le barricate di Delacroix non era forcaiola né tifosa, era la Libertà.










Premiata ditta bordello Italia
(da Il Quotidiano della Basilicata del 22/01/2008)

Il momento è kafkiano. I cittadini allucinati, se ancora non oppongono il diniego quale estremo baluardo di sopravvivenza, disperano tuttavia delle coordinate per giungere ad una qualsiasi plausibile ombra di comprensione. Tutto fa parte a sé. Non si può dire nemmeno che il mondo sta andando al contrario, perché non è vero; vero è che il dritto e il rovescio coincidono, si fondono e riemergono dagli abissi del paradosso senza ormai più identità. E così si giunge alla logica del paese delle meraviglie e . . . dagli a  festeggiare i non-compleanni !!!
Così  Totò Cuffaro si dice contento e soddisfatto di una sentenza che lo condanna a cinque anni a all’interdizione dai pubblici uffici, ma  resta al suo posto di Governatore della Sicilia e tutti inneggiano alla sua “riconosciuta innocenza”. Il Parlamento (quello del vogliamo le riforme, preoccupiamoci della questione morale, vogliamo dare le risposte ai cittadini) esplode in una ovazione senza precedenti di fronte all’oscenità di un discorso che ha una morale da Crazy Horse (ma certamente minore stile) e si batte il petto contrito davanti agli occhi lucidi del Guardasigilli nemmeno a lacrimare fosse una statua di Padre Pio. La Sapienza impedisce al Papa di parlare, la saggezza, invece, chiude la bocca a De Magistris. Sandra Lonardo (insieme ovviamente alla moglie di Dini) diventa simbolo dell’attacco alle donne impegnate, mentre il caso Forleo è l’emblema del disimpegno verso le donne attaccate; Mastella si dice ora “come Venezia, Serenissimo” e infatti  in Parlamento è subito acqua alta. Prodi canta “Resta cu’mme” al più ricattatore dei suoi Ministri, mentre a Pianura ancora si ergono montagne di immondizie e Fioroni è sicuro di aver riaperto le scuole il 7 di gennaio: possibile che nessuno gli dice la verità?  E poi è sempre complotto, contro l’Udeur, contro Berlusconi, contro il gioco innocente delle raccomandazioni, contro le insane usanze nella Sanità. Per fortuna che la solidarietà si spreca; quando si tocca uno qualsiasi degli adepti, o dei suoi parenti fino alla settima generazione, nella casta si scatena una gara di generosità che non si è vista nemmeno dopo lo tzunami e si respira un afflato di fratellanza a delinquere che però non è mai associazione.
Insomma è un bordello. Questa è l’unica definizione che salta in mente di fronte a tanto scempio e benché il lessico sia mutuato da Dante (Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!) nemmeno rende il senso di questa farsa tragicomica che si è costretti a sopportare.
Le dimissioni di Clemente Mastella, chieste da tempo a gran voce dal popolo, avevano acceso un lume di candela in tanto buio, erano apparse in sostanza il primo vero atto di giustizia nei confronti degli Italiani e quasi inorgogliva il fatto che ci avesse pensato proprio lui, proprio il Ministro della Giustizia. Ci si poteva persino illudere che le cose cominciassero a funzionare e che, dopo quasi due anni, ciascuno iniziasse a comprendere come c’era finito nel Parlamento e che cosa ci fosse andato a fare. Si riusciva persino a sospettare che si sarebbe giunti a sentenze di innocenza (innocenza almeno pari a quella di Cuffaro!) attraverso giusti processi lasciati nelle mani di quei contestati tali che in televisione ci sono andati sì, ma da Santoro che, se proprio non ha il dono dell’imparzialità, almeno non se ne sta in mutande come l’Aida Yespica di fronte a un uomo di governo, lui sì tutto d’un pezzo, ospite di Pippo Franco e del Bagaglino. Ma l’illusione ha avuto breve vita; l’hanno accoltellata, e pure alla schiena, gli applausi, le ceppaloniche manifestazioni, l’attesa di Prodi, la fretta del CSM, l’ipocrisia di lacrime già consce di ricatti, i lapsus inquietanti di un Ministro che riconosce la casta . . .
Fuori, a contemplare l’orgia, resta la piazza, il popolo, la gente dell’antipolitica di Grillo, qualche giustizialista forcaiolo, qualche reduce della sicurezza sul lavoro ed una definizione (politically correct) di vocabolario che alla voce “politica” recita così: arte, scienza del governo e dell’amministrazione dello Stato.
Solidarietà soltanto ai cittadini, dunque: questo orribile tanfo non viene da Pianura.








Quei morti sconosciuti
(da Il Quotidiano della Basilicata del 15/03/2008)

Oggi si celebra a Bari la XIII Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime delle mafie. Sul sito dell’Associazione Libera scorrono i nomi da non dimenticare; tra di essi ce ne sono alcuni noti, notissimi, come quelli di Paolo Borsellino e di Giovanni Falcone, ed altri che forse da tempo continuano a scorrere in sordina sulla coscienza collettiva di un Paese troppo spesso brutalmente sfregiato dall’odiosa mano della criminalità organizzata. Ci sono anche altri nomi, però, che,  invisibili ai più, dovrebbero scorrere fino a scavare nelle ossa il silenzio di chi sa e non ha mai parlato, di chi sa e non parla, di quei complici ignavi destinati a fuggire da se stessi per sempre. Quei nomi più degli altri chiedono giustizia, più degli altri urlano dalle prigioni della menzogna, più degli altri aleggiano come una maledizione sul vivere quotidiano di noi tutti. Finché quei nomi non usciranno dalle obliate schiere dei nomi dei suicidi, dei dispersi, delle vittime di incidenti e finché di essi non si definirà il contorno nella verità non potremo dire del nostro Paese che è un Paese civile, non potremo parlare di democrazia né di giustizia.
La mafia non è una, le mafie sono tante e tanti sono i volti che sempre più difficile è metterli a fuoco. La mafia è quella delle stragi, quella degli uomini freddati per le strade come monito a tutti; ma la mafia è anche la grande fucina delle morti bianche, la longa manus delle connivenze giudiziarie; mafia è la burocrazia che inceppa la giustizia, mafia è l’informazione che alimenta l’ignoranza, mafia è il bacio della politica sulle mani del compromesso e sulla guancia del profitto illecito.
In questi giorni, che sono giorni brulicanti di progetti di riforme e promesse di rinnovamento e, insieme, sono giorni che destano perplessità e sfiducia nei cittadini  costretti a prendere ancora atto di una avvilente guerra fratricida per le candidature e a domandarsi sempre più dolentemente a chi affidare la guida del Paese, sarebbe bello poter registrare qualche atto concreto di lotta alle mafie, sarebbe bello che qualcuno si impegnasse davvero a recidere la catena che condanna questa nostra splendida terra ad una ignobile esistenza di schiavitù. Chiunque aspiri ad essere credibile ha un obiettivo da non dimenticare.
 







Sotto il grembiule niente
(da Il Quotidiano della Basilicata del 26/11/2008)

Ormai Berlusconi è un incubo. Non è che lo si voglia attaccare a tutti i costi, anzi; sarebbe salutare poterselo dimenticare di tanto in tanto, magari pensando al maltempo incipiente che viene preannunciato come una catastrofe anche se ormai, alle soglie di dicembre, siamo tutti qui ad aspettarcelo da un momento all’altro. Ecco, vorremmo dimenticare il nostro Premier per un po’, ma la cosa risulta impossibile, perché lui è sempre lì con il suo copione inossidabile a sparare castronerie di quelle destinate a fare il giro del mondo, rimbalzando dal New York Times al Le Monde, dal Daily Mirror a El Pais.
Ultima in ordine di tempo (almeno per il momento) è la candida affermazione con cui il Silvio nazionale si è esibito in seguito alla tragica morte del diciassettenne del torinese travolto dal crollo di una controsoffittatura della scuola che frequentava. A parte il cattivo gusto della definizione di fatalità data ad uno dei tanti eventi tutto sommato abbastanza prevedibili considerato lo stato di degrado in cui giace una gran parte delle strutture che ospitano scuole, un’altra sua considerazione non poteva non colpire al cuore la categoria professionale più vessata d’Italia: quella degli insegnanti. Ha detto il Premier, in sostanza, che gli insegnanti entravano nell’aula tutti  giorni e nessuno mai aveva segnalato nulla, segno questo che nulla poteva lasciar presagire quello che poi è successo. Quasi viene da chiedersi se quegli insegnanti non siano meridionali ( nel qual caso la loro incompetenza nell’accertamento di agibilità di un edificio potrebbe essere prontamente spiegata dalla loro cronica ignoranza già certificata dalla Gelmini), o se da qualche parte del loro contratto da fannulloni non ci sia una clausola che impegni ad una attenta analisi strutturale delle aule e degli altri locali della scuola.
Insomma è ora di finirla. Fermo restando il fatto che l’inadeguatezza, e in molti casi la fatiscenza, degli istituti scolastici non si può addebitare unicamente a questo o a quel governo, ci pare veramente troppo per il nostro Presidente del Consiglio uscirsene così, come si suol dire per il rotto della cuffia, con una constatazione che questa volta più che comica appare veramente grottesca. Grottesca e pericolosa. E pericolosa perché se tutti gli insegnanti cominciassero a mettere per iscritto le situazioni di anomalia e di rischio ravvisabili in tutte le nostre scuole, forse l’unico taglio che resterebbe da fare al Governo sarebbe quello delle proprie vene.
Vogliamo cominciare? In quale scuola, ad esempio, è rispettato pienamente il rapporto tra la cubatura dell’aula e il numero degli studenti della classe? Forse in nessuna. Le classi sono, infatti, sempre più affollate ed il numero degli studenti per ognuna di esse è destinato anche ad aumentare già dal prossimo anno scolastico per effetto della nuova legge. Di conseguenza, in quante aule c’è la possibilità di lasciare –così come le norme prevedono- ampi corridoi tra una fila di banchi e l’altra ed evitare che banchi siano addossati alle finestre e alle pareti in modo da rendere difficoltosa una fuga eventuale? E quante scale sono realmente dotate di antiscivolo? E quante palestre sono a norma? E da quanti soffitti cadono di tanto in tanto innocui calcinacci da quelle che appaiono ( e si spera che siano) solo superficiali screpolature? E la quantità dei servizi igienici risulta veramente sempre adeguata al numero degli studenti che frequentano la scuola? E i collaboratori scolastici, tra i cui compiti rientra anche la vigilanza degli alunni, sono assegnati alle scuole in misura realmente adeguata alle rispettive esigenze? E quante volte gli stessi responsabili della sicurezza sono costretti alla più larga interpretazione delle norme, perché si troverebbero di fronte all’unica altra alternativa  di dichiarare inagibile la scuola? E quante volte a segnalazioni fatte le massime Istituzioni scolastiche hanno risposto con un prudentissimo e roboante silenzio?
In questa situazione è  abbastanza  evidente che, se proprio al Ministro della Pubblica Istruzione sembrava necessario dover cominciare la riforma della scuola partendo  dal look,  forse più che dai grembiulini  sarebbe stato preferibile partire dai caschi.
“Meglio un figlio ignorante che morto” ha gridato tra le lacrime il padre del povero Vito. Ed ha ragione, specie in questo Paese dove l’ignoranza sembra capace di portare veramente molto in alto.








Beppino Englaro e il sogno di Palinuro
(da Il Quotidiano della Basilicata dell’08/02/2009)
Stroncato il suo sorriso dal sonno irreversibile del coma,  Eluana Englaro attende  da diciassette anni in riva a un Acheronte che una barca pietosa la trasporti all’altra sponda; Eluana bella e radiosa come il troiano Palinuro che pure sognava l’eterna pace della sepoltura. “ Ora mi tiene l'onda e mi rivoltano i venti sul lido. Perciò ti prego per lo splendore giocondo del cielo e per le brezze, per il genitore e per le speranze di Iulo che cresce, invitto, strappami da questi mali”. Con queste parole il giovane eroe pregava Enea, disceso vivo nell’Ade, perché lo sottraesse all’obbrobrio di una sospensione che morte non era, ma nemmeno più poteva dirsi vita. Così Eluana implora dal suo letto una pietà dovuta principalmente a chi ama la vita, perché la morte (ed è un concetto squisitamente cristiano) proprio della vita è parte integrante, ne costituisce la naturale conclusione e deve essere accettata come dono col dono stesso che è il venire al mondo.
Il rispetto della vita, dunque, ha l’obbligo di tenere in conto il diritto a morire quando l’unica  sopravvivenza possibile è quella imposta  da un accanimento che rende terapia anche acqua e cibo, se questi vengono somministrati ad un corpo che non è più in grado di avvertire fame né di sentire sete. “Ora mi tiene l’onda e mi rivoltano i venti sul lido” ; così continua a dire l’ombra di Eluana al suo papà Beppino e l’onda e i venti gelidi e impietosi che continuano a rivoltarla su questa terra sono quelli di una speculazione politica e di una , ahimé, ribadita cecità confessionale  che hanno trasformato il dramma umano e il dolore infinito in un ennesimo  reality sul quale tutti ci stiamo affacciando con la saccenteria che, in casi come questo,  solo si addice a chi sa tutto per sentito dire.
Così laddove il silenzio meglio accompagnerebbe l’ultimo straziante abbraccio di un padre e di una figlia, si alzano invece i toni fino allo scontro istituzionale in un Governo becero che quantifica il valore della vita coi gruzzoli di voti che essa può portare. La condanna a vivere di Eluana ha il consenso del Vaticano (che si schiera con palazzo Chigi e contro il Colle); questo per alcuni  vuol dire,  in traduzione, assicurarsi l’appoggio della Chiesa e i voti dei cattolici. La vita dei clandestini, invece, vale assai di meno, tant’è che questi li si può costringere a morire e a far morire i propri figli imponendo ai medici di denunciare quelli che si dovessero a loro presentare per ricevere cure necessarie; poco vale anche la vita di un clochard, contro cui parte di questo Parlamento non si astiene dall’istigazione razzista, o quella dei bambini di Gela la cui esistenza viene continuamente barattata con gli interessi delle compagnie petrolifere. Anche la vita di tanti giovani soldati vale assai meno di quella di Eluana quando si decide di inviarli in missioni di pace armate fino ai denti. Così squali e barracuda nuotano nel mare di quei precetti cristiani che, in uno Stato laico come il nostro, hanno il diritto di essere espressi, ma non quello di essere imposti né dagli altissimi prelati che vivono di rendita affittando e sfrattando dagli immobili della Chiesa la povera gente, né tanto meno da certi baciapile ipocriti che conoscono l’arte di  piegare il diritto a misura di sé e dei propri interessi.
Sia adesso lieve l’onda su di te, Eluana, lieve poi la terra. E sia l’unico Dio, quello della Misericordia,  ad avere pietà della vita misera degli avvoltoi che ti girano intorno.






Ce l'avevano duro
(da Il Quotidiano della Basilicata del 17/03/2009)

Sarà per la strategia dell’ottimismo (che si ostina a non riconoscere duri neanche i tempi ) o per quella imperitura saggezza popolare (che recita nei proverbi che il parlare è assai meglio del fottere), certo è che il dubbio che il problema posto dall’onorevole leghista Davide Caparini riguardo al consumo di Viagra possa essere veramente molto serio, potrebbe persino cogliere noi tutti che qui al Sud sembriamo starcene soltanto (e la parola è attinente!) a cazzeggiare. Il nome di Caparini si era già in verità immortalato in una nostalgica quanto improbabile proposta di legge dell’aprile 2008 ( http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/stampati/pdf/16PDL0004800.pdf ) con la quale il nostro indefesso difensore della superiorità settentrionale, in qualità di primo firmatario, chiedeva di aumentare lo stipendio agli alpini del Nord, lamentando il fatto che “ai reparti delle truppe alpine viene destinata un’aliquota sempre crescente di volontari provenienti dalle regioni del sud” e che  “tutto ciò incide profondamente sull’efficacia operativa delle unità appartenenti ai reparti delle truppe alpine”. Si argomentò allora che, tanto, al Sud si era più abituati a fare sacrifici, mentre i giovani del Nord avevano bisogno di un diverso tenore di vita. Ora finalmente l’onorevole Caparini ci dà modo di capire il perché. La sua analisi serissima, esposta durante gli stati generali della Lega bresciana, ci informa che “dal 1998 al 2005 in provincia di Brescia sono state consumate dalle 3 alle 4 mila pillole di Viagra ogni mille persone” mentre nella Provincia di Potenza nello stesso arco di tempo “il consumo è stato di 991 pillole per il medesimo numero di persone”.  Ad aver contezza del costo non proprio popolare della famosa pillola blu, dunque, dobbiamo dar ragione a chi sostiene che noi terroni in quanto sottosviluppati (o sviluppati sotto, come spesso diceva Ivan Graziani) possiamo continuare ad arrangiarci con poco, mentre alle camicie verdi del “ce l’abbiamo duro” bisogna dar modo di ritrovare l’angolazione primigenia del loro programma secessionista.
La conclusione di Caparini in merito al Viagra, infatti, è che il troppo lavoro cui sono abituati i nordisti, deprime, per così dire, le pulsioni di cui tanto andavano fieri; le conclusioni nostre, invece, sono diverse, ma non meno sconcertanti, perché, a dispetto del nostro credo, bisogna riconoscere ragione a Berlusconi che vorrebbe sfoltire il Parlamento. Ecco, infatti, che l’on. Caparini si pone come luminoso esempio di parlamentare inutile, uno di quelli che, da noi pagato, più che a lavorare sta a farsi le…(non lo diciamo anche se sarebbe in tema), ma solo per dar supporto scientifico alla sua analisi. Analisi che, peraltro, pone anche un dubbio che appare più che legittimo. Se le lotte Leghiste più accese sono iniziate nella seconda metà degli anni ’90 e l’indagine dell’onorevole parte proprio dal 1998, sarà poi vero che ce l’avevano duro?






Se la pillola fosse blu
(da Il Quotidiano della Basilicata del 10/08/2009)

Tanto per confondere un po’ le idee della gente, in Italia il dibattito sulla famigerata pillola  RU486 ha da subito preso una piega sbagliata e, c’è da giurare, strumentale e funzionale all’elasticità di quelle coscienze che utilizzano i temi della vita e della morte come pass par tout per accedere al bacino di una  benevolenza clericale assai utile in tempi di magra. Così l’attenzione si sposta dal fatto scientifico, per approdare nella solita crociata dei difensori della morale e dei grandi inquisitori che non hanno mai smesso di dare la caccia alle streghe. L’essere pro o contro l’aborto in questo momento non c’entra; non è, infatti , la legge sull’interruzione della gravidanza che sta cambiando, ma solo il modus operandi, una tecnica, insomma, che rende meno traumatico e cruento un intervento già approvato e ben regolamentato dalla legge. Tutto qui. La RU486 andrebbe considerata, dunque, un passo avanti nella medicina ed accettata unicamente come tale, né sembra corretto agitare a sostegno della crociata l’ipotesi di  un uso del farmaco indiscriminato e superficiale, quasi come se tutte le donne di questo mondo potessero improvvisamente prendere ad ingozzarsi di pillole miracolose e capaci di eliminare le tracce della sofferenza (e quindi del peccato) da quell’essere femmina ancora considerato immondo e perverso. Ma si tranquillizzino tutti i fans del “partorirai con dolore”; la pillola in oggetto certamente non riuscirà ad eliminare una sofferenza fisica che persino un evento abortivo spontaneo porta sempre con sé, né quel lungo (se non eterno) male interiore che inevitabilmente accompagna la decisione di interrompere una gravidanza.
La realtà, e spiace dirlo, è che ancora una volta ci si trova di fronte ad una discriminazione nei confronti delle donne alle quali, per la colpa atavica del loro sesso, non è mai lecito facilitare o migliorare l’esistenza, e ciò in particolare quando ci si avvicina alla sfera della sessualità. Diciamolo francamente (e con buona pace di tutti i don Vito di questa terra): la religione, anzi le religioni hanno sempre circondato la donna di un alone di sospetto e di diffidenza, l’hanno sempre accompagnata alla colpa e al peccato e spesso sono riuscite a trasformare la maternità in uno spauracchio utile alla negazione del godimento pieno della completezza del proprio essere. Tant’è che la nobilitazione (e a volte la stessa accettazione) della donna nella società ancora troppo spesso passa attraverso la sua verginità e poco importa se l’effetto si cerchi di ottenerlo con l’infibulazione piuttosto che con la celebrazione di un concepimento miracoloso. Diverso è il discorso rivoltato al maschile. La più famosa (ed usatissima nonostante le innumerevoli controindicazioni) pillola blu non è stata così tanto avversata, anzi, celebrata come un ritrovato eccellente, è stata accolta come un inno alla vita e alla longevità; ma in un’ottica meno discriminatoria ci sarebbe da domandarsi se essa non interferisce con il naturale corso della vita e se non finisce per generare un piacere “peccaminoso” in quanto ottenuto in modo artificiale. Di più, volendo restituire la crociata, si potrebbe ipotizzare che un’orda di maschi imbufaliti dall’uso indiscriminato del viagra potrebbe causare un numero eccezionale di gravidanze indesiderata e, di conseguenza, alimentare la piaga dell’aborto clandestino, chirurgico o farmacologico. La stessa aspirina, d’altronde, potrebbe essere indiscriminatamente utilizzata (tanto più perché è un farmaco da banco) per rendere l’acqua frizzante alla medesima sconsiderata progenie di italiani che sembra apprestarsi ad insani bagordi sotto la tutela rassicurante della RU486.
La difesa della vita c’entra ben poco; è in gioco Eva e quella sua dannata mela. E poi ancora dicono che la frutta fa bene!







Tutto quello che ho per difendermi è l'alfabeto
(da Il Quotidiano della Basilicata del 05/09/2009)

Non possiamo paragonare una colf ad un ministro, certo che no, tanto per l’incomparabile tipo di responsabilità che grava sulle due figure professionali, quanto per il compenso che a tale responsabilità è commisurato. Proviamo tuttavia ad immaginare questa scena. La padrona di casa chiede alla sua colf di rassettare la cucina; la colf solerte butta via le pentole sporche, spezza ad uno ad uno tutti i piatti, infila i bicchieri nel contenitore della raccolta differenziata, brucia tovaglia e tovaglioli nel barbecue ed infine chiude a chiave la porta per preservare alla vista il pavimento sporco. Formalmente il lavoro è fatto, ma chi terrebbe un solo istante ancora in casa propria una colf così?
Il ministro Gelmini, invece, ce l’abbiamo ancora qui, in casa nostra, e qualcuno tenta pure di farci credere che il suo finora è stato davvero un ottimo lavoro. Le sue dichiarazioni dello scorso mese di giugno la dicono lunga sulla sua incompetenza e sul fatto che, nella cucina del suo ministero, non riesce a distinguere un microonde da un televisore. L’aumento delle bocciature nelle scuole medie e superiori la riempiono di orgoglio, perché finalmente – ella sostiene – si è abbandonata la becera scuola della sinistra e si è tornati al rigore ed alla meritocrazia. La signora ministro, è evidente, non sa di cosa parla, non ha la benché minima idea di cosa sia la meritocrazia e gli unici voti che conosce sono quelli che non ha preso per essere ministro e nemmeno per farsi suora di clausura in qualche sperduto monastero per minor danno del popolo italiano.
Sarebbe forse il caso di spiegare alla ministro che la scuola italiana era come la cucina di cui sopra, da risistemare appunto, non da demolire a sprangate spargendo sale sulle rovine. Chi glielo spiega che l’aumento dei bocciati è l’effetto catastrofico di tale demolizione e non il benefico risultato della sua azione approssimata e casuale che non ha saputo tenere in conto né il valore della persona, né il ruolo fondamentale dell’istruzione? Dovendo constatare che le idee progressiste della Gelmini non sono riuscite a superare la barriera del grembiulino da lei tanto osannato, proviamo a lanciare uno sguardo oltre la targa che su centinaia di edifici fatiscenti  indica l’unico luogo in cui si può provare a migliorare il mondo.
La scuola, da quella materna a quella superiore, dell’intero sistema sociale è l’asse portante indispensabile ed insostituibile che ancora oggi, checché se ne dica e nonostante il progressivo smantellamento che se ne sta facendo, assolve a funzioni fondamentali che davvero nessuna altra istituzione, famiglia compresa, potrebbe mai arrogare completamente a sé. Non è questa, però, l’analisi che ci interessa, piuttosto quella che, travalicando l’assurdità di un’idea aziendalistica, va a scoprire il senso di un impegno teso ad ottenere una crescita reale e profonda dell’intera società.  Un impegno che non si può misurare in termini quantitativi e percentuali se non con un sistema di proporzione inversa; vale a dire che una scuola più boccia e più si boccia, perché più dimostra di non essere in grado di mettere in campo strumenti e strategie di promozione (non gratuita) del merito che ciascun allievo, seppure in misura variabile, innegabilmente non può non avere. Una bocciatura, insomma, altro non è che la constatazione necessaria, ma dolorosa, dell’impossibilità di ottenere un risultato. Una bocciatura, è dunque, una rinuncia ed un fallimento di tutti. L’equazione è presto fatta: più bocciature, più fallimento. E il fallimento è determinato dall’impoverimento delle risorse umane e materiali, dalla disaffezione che l’eterno precariato ingenera verso un lavoro che più di ogni altro avrebbe bisogno di basarsi su equilibrio e soddisfazione del lavoratore, dalla discontinuità e dalla disorganizzazione generata dall’avvicendarsi continuo di norme incomprensibili e non condivisibili, dalla concorrenza sleale dei media che attentano continuamente a qualsiasi azione educativa.
Ecco che, dunque, gli ingredienti giusti per giungere al fallimento totale oggi ci sono tutti e il nuovo anno scolastico si avvia in una situazione di disastro tale che le cariche della polizia contro le manifestazioni dei precari non riusciranno a nascondere né tanto meno a rimediare. E’ difficile, pertanto, credere che tutta l’azione del Governo non sia realmente tesa a quell’abbattimento auspicato da Licio Gelli dei pochi baluardi di democrazia che restano nel nostro sconcertato Paese. Distruggere Scuola e Università pubbliche è passo necessario per  riuscire in definitiva a dare un padrone alle idee ed un signore alle coscienze; serve, insomma, a consolidare un dominio assoluto sulla popolazione.
“Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada … Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle …” Parole più chiare ed efficaci di queste utilizzate da Piero Calamandrei nel suo arcinoto discorso del 1950 sulla scuola non si possono trovare. Questa è la trappola in cui si sta trascinando l’Italia con l’aiuto di una informazione connivente o venduta che cela quanto in tutto il Paese sta accadendo, per sollecitare, invece,  la soddisfazione dell’utenza con spot che inneggiano ad un impossibile miglioramento della qualità dell’istruzione e tentare di spaccare qualsiasi fronte di lotta evidenziando la promessa di futuri miglioramenti economici per gli insegnanti che sopravviveranno alla mattanza che si sta portando a termine.
I numeri sono chiari, ma non definitivi:18.000 docenti (precari da anni non per propria negligenza, ma perché per anni non si è ritenuto necessario bandire concorsi idonei) resteranno senza lavoro, esposti dapprima alla disperazione, poi all’allettamento dell’impiego in qualche corsiciattolo supplementare dannoso per gli studenti e pernicioso per la dignità stessa del docente (a quale partito o sindacato bisognerà iscriversi per ottenere tale obolo?), infine ai dictat di chi in cambio del lavoro, comunque precario e sottopagato come avviene  spesso nelle scuole private, pretenderà che si insegni nero il bianco e bianco il nero.
18.000 licenziati: fantasmi a cui oggi non si vuole riconoscere nemmeno l’importanza fondamentale del ruolo finora svolto e per i quali non esistono ammortizzatori sociali. Di contro ci sono giovani stipati come polli di allevamento in aule spesso non idonee (se non fatiscenti) con insegnanti oberati dalla burocrazia, sviliti nel ruolo, ostacolati nell’azione educativa dalla forza sovrastante dei numeri.
Complimenti al Governo. Complimenti ai partiti dell’opposizione e pure ai sindacati. Quali azioni di rilievo si stanno preparando per fermare questo scempio? Che cosa, oltre i comunicati stampa di disappunto, si sta facendo davvero? Se i tetti che accolgono la protesta sono diventati l’unica arma dei lavoratori per tentare una  trattativa, possiamo ancora credere che esiste una tutela dei diritti? E se le cariche della polizia a Benevento, a Salerno, a Venezia sono la risposta alla richiesta di rispettare quanto sancito dalla Costituzione, siamo sicuri che la Democrazia, più che essere moribonda, non sia in realtà già spirata?
“Tutto quello che ho per difendermi è l'alfabeto; è quanto mi hanno dato al posto di un fucile”  scriveva in un suo romanzo lo scrittore Philip Roth. Questo Governo, testa pensante del ministro Gelmini, preferisce decisamente il fucile.








Quando il Crocifisso diventa un grande elettore
(da Il Quotidiano della Basilicata del 27/01/2010)
        
Le polemiche suscitate dalla sentenza della Corte Europea in merito al divieto di esporre il Crocifisso nelle aule scolastiche di certo un effetto lo ha sortito, quello, cioè, di indurre i più ad alzare gli occhi per controllare se nei luoghi di lavoro, che magari frequentano da anni, sia o no in bella vista la fatidica croce.  Perché, diciamolo francamente, se qualcuno avesse interrogato a bruciapelo studenti, docenti e impiegati vari, forse nessuno avrebbe saputo rispondere con certezza riguardo alla presenza di quello che ora appare all’improvviso un oggetto troppo ingombrante. E questo povero Cristo finisce per non aver pace, tirato in ballo suo malgrado in una questione che sa assai poco di religione e molto più di politica, di quella politica che è avvezza ad intruppare gli elettori in categorie rispetto alle quali individuare strategie di marketing per vendere il proprio prodotto. Di Gesù Cristo appeso alla parete, insomma, nessuno si interesserebbe più di tanto se l’alzare la voce per difenderlo non servisse a recuperare i voti dei cattolici, se urlare per dargli contro non servisse a mostrarsi paladini di una laicità dello Stato a cui, in verità, l’unico che non ha mai dato noia è proprio quel Cristo pallido appeso a volte così tanto in alto da sfuggire del tutto alla vista. A voler essere coerenti, dunque , bisognerebbe poi far divieto anche di portare crocette e madonne appese al collo, a braccialetti ed orecchini, così come si fa divieto in alcuni Paesi di portare il velo islamico a scuola; il velo non sta appeso in classe, infatti, ma è bollato come simbolo religioso pur essendo un oggetto personale.
La verità, dunque, è che la religione non c’entra, se religione è l’adesione intima e personale ad un credo che risponde prima di tutto a principi di umanità e giustizia, di amore universale, tolleranza e solidarietà. Se per religiosità, invece, si intende una sorta di cieca ed assoluta obbedienza  ad un insieme di norme e precetti che tendono ad interferire con la vita dello Stato e a contrattarne benefici, ecco che il Crocifisso diventa un grande elettore, uno di quelli per cui sembra ovvio doversi giocare il tutto per tutto, anche una serie infinita di battaglie legali, una caterva di crociate mediatiche, una candidatura sconcertante, ma “cattolica”. Un oculato utilizzo bipartisan, permette, d’altronde, di servirsene anche al contrario, attribuendo all’eliminazione di questo innocuo simbolo il potere di debellare l’ingerenza della Chiesa dagli affari in cui troppo spesso ha interessi tutt’altro che spirituali.
In tutto questo c’è da giurare che se il Cristo non si è schiodato da sé e se ne è bell’e andato con la croce sotto il braccio, è solo perché Egli è altrove e dai luoghi in cui alberga davvero non lo si può togliere né in quei luoghi lo si può ingannare. Questa furia iconoclasta non ha senso, come non ha senso una difesa ad oltranza. Dio c’è ( se c’è e per chi c’è) laddove meno appare, laddove non lo sospetteresti, laddove è l’uomo “che si fa tempio”.
E meno male, altrimenti potrebbe costare  cara a Brunetta la costatazione che anche  Gesù è rimasto a casa fino a più di trent’anni.






Una regione e il suo flusso di coscienza
(da Il Quotidiano della Basilicata del 05/03/2010)

C’è una strana inquietudine nell’aria; la sensazione è che troppe cose irregolari si stanno affastellando nel nostro Paese e troppi punti di riferimento stanno sgretolandosi un po’ alla volta facendo sempre minore rumore. Non crolli improvvisi, non terremoti, ma una lenta e costante erosione ci sta accompagnando ad una sorta di dolce morte della libertà, della democrazia, della  legalità. Un rumore di carta stropicciata, un fruscio … non altro si ode oltre la farsa godereccia di una classe politica che ha perso il controllo di se stessa e si sta avviluppando sui suoi stessi errori, vittima della sua tracotanza giunta all’apice, di un interesse personale spudoratamente inseguito, di una indifferenza che si fa rifiuto nei confronti delle vere emergenze del Paese. Paese che sta a guardare. Paese che ha ancora gli occhi della crisi e la disperazione della solitudine dei più deboli nascosti nelle finzioni del tutto risolto, come a Napoli, come a L’Aquila, come un po’ dappertutto. Paese di disparità assolute che inneggia alla par condicio tra gli oligarchi i quali hanno a spregio le norme che essi stessi hanno imposto agli altri. Un grande carro carnascialesco che sfila roboante di musica e balli sotto gli occhi di chi non ha pane: questa appare oggi l’Italia; una scatenata samba delle verità che ancheggia, si rivolta, gira e rigira in un andirivieni di notizie e smentite, abbracci e insulti, condanne e assoluzioni. Non è più possibile ormai distinguere il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto. Nulla in questo momento è più soggettivo della verità, nulla più elastico della legge, nulla più discriminante di quella che ancora chiamiamo democrazia. Il Paese è bloccato in attesa di queste elezioni che si prefigurano come un vaticinio e sembrano importanti per questo più dei segnali per fortuna ancora flebili, ancora sporadici di generale insofferenza.
Il clima è lo stesso anche in Basilicata. Troppe incertezze, troppe mezze verità, troppe cose strane che in una regione piccola come la nostra si ingigantiscono ulteriormente e si lasciano percepire in tutta la loro gravità. Le lettere minatorie non meno di certe illustri querele alla stampa, le perquisizioni non meno di certi attentati creano una cappa di incertezza e sospetto che non giova alla crescita della regione, né si disperde al vento delle promesse. “Il cambiamento che vogliamo. Il coraggio di essere liberi. Adesso, una regione nuova. L’innovazione continua. E’ una questione di principio. Ti puoi fidare. Insieme possiamo. Orgogliosi di essere lucani. Nessuno deve toglierci ciò che il buon Dio ci ha dato…”. E’un flusso di coscienza inarrestabile quello dei manifesti elettorali che ci martella angosciante attraverso le vie della città, le strade della regione, ci insegue, ci esaspera. Tutto appare ancora più nebuloso e vago laddove la coerenza è sospettata, la politica ti sta accanto identica da almeno trent’anni, quello del muro catto-comunista è l’unico cantiere assente in città e l’impegno a favore dei più deboli ha cambiato solo il bollino di partito, restando identico ai traditi propositi di qualche mese fa. In fondo ci sono poche cose che i cittadini vorrebbero sapere con certezza e sono cose spicciole, pratiche, da gente comune: per esempio,  interessa meno conoscere chi può aver violato un segreto d’ufficio, di quanto  possa interessare sapere se i dati diffusi  da Bolognetti in materia di inquinamento sono reali o meno, perché se segreto c’era ed è stato violato, e se la cosa è apparsa così grave da determinare addirittura una perquisizione, è facile per chiunque ritenere che ciò che è stato denunciato ha più che un fondamento di verità. I cittadini gradirebbero conoscere con certezza i dati relativi all’aumento in regione delle malattie tumorali correlato alla controtendenza nazionale, vorrebbero vedere reali svolte anticlientelari e anticasta che oggi non ci sono.
La politica tutta non trascuri certi segni: segni di nervosismo, di insofferenza, di sfiducia che cercano la concretizzazione di gesti eclatanti capaci di essere visibili laddove non lo sono le grida di aiuto. Un clima di sregolatezza e dubbio soffoca anche la nostra regione; quella mentalità mafiosa menzionata da Monsignor Superbo è un terreno di coltura assai fertile per ogni forma di violenza; il bavaglio è spesso imposto anche qui e chi non può urlare prima o poi finisce per tirare calci e persino la solidarietà orizzontale può essere vissuta come insulto da chi è in posizione di suddito.
La politica tutta resti in ascolto, ma in ascolto vero. Taccia quando c’è da tacere e agisca per il bene comune, evitando, magari, certi ridicoli quanto inutili proclami  (vedi test antidroga ai candidati regionali!!!) che sono la parodia della politica. La violenza genera violenza e quella del sopruso non rompe meno vetri del piccone.










Dalla parte del toro
(da Il Quotidiano della Basilicata del 22/08/2010)

Che gli animali siano capaci di pensare ormai pare accertato; il come e il quanto è, ovviamente, ancora oggetto di studi e di dibattiti tra gli esperti, ma etologi di fama, come il nostro Enrico Alleva, non hanno dubbi su determinate facoltà mentali che oltrepassano il carattere puramente istintivo per inserirsi nella sfera del pensiero, del calcolo, del ragionamento, del ricordo. La percezione del tempo, la capacità di memorizzare o di trovare soluzioni sono state individuate in diverse specie animali ( non solo in quelle che più o meno siamo abituati a ritenere intelligenti) e dimostrate con svariati esperimenti. Gli animali, insomma, pensano  e, ben al di là del rapporto di dipendenza che possono instaurare con l’uomo, amano, soffrono, gioiscono, sentono con intensità la loro e la nostra esistenza. A partire da questo assunto, come non stare dalla parte del toro che, nell’assolata plaza di Tafalla, nella regione settentrionale spagnola della Navarra, ha raccolto il coraggio nei suoi circa seicento chili di peso per saltare sugli spalti dell’arena?  Là, nella calura della Spagna agostana, spettatori assetati di brividi a buon mercato, trepidanti del gusto osceno della morte gratuita attendevano il rito barbaro celebrato alla dea tradizione. La corrida, chi l’ha vista lo sa, è un puro esercizio di violenza mascherato dallo sfarzo dei costumi e dall’eleganza dei movimenti di una macabra danza; il toro, sanguinante e sfinito da picadores e banderilleros, è consegnato infine alla boria smargiassa del matador, inerme, solo, nella disperazione delle forze che si perdono col sangue che scorre sopra la terra rossa. Dagli spalti si fa il tifo: l’uomo è per l’uomo, ma chi la guarda negli occhi quella bestia, chi sente il suo dolore raddoppiato dalle urla esaltate della gente, chi si domanda in quel momento se pensa, cosa pensa, se la morte, a chiunque tocchi, possa essere gioia o spettacolo o sport?  Ma alla fine uno si ribella; per tanti che accettano passivi il loro triste destino, c’è sempre qualcuno che alla fine si ribella e non perché è impazzito, non perché la natura lo ha reso un po’ strano né perché si fa forte di armi che non ha; in realtà solo perché, se uno pensa, se ne accorge che ad esser toreri basta aver la muleta e una mandria di bestie rassegnate e dolenti. Metafora della vita? Non so. Forse quello che manca sono le palle del toro.









La seconda prima volta
(da Il Quotidiano della Basilicata del 05/10/2010)

Sabato sera televisivo. Saltando da un canale all’altro alla ricerca di qualcosa di sopportabile con cui riuscire almeno ad addormentarsi sul divano, può capitare di imbattersi in un intermezzo pubblicitario in cui Maria De Filippi  invita a valorizzare la propria bellezza: niente di strano, in fondo, finché non si vede lo spot in cui tre amiche si incontrano. Una mostra alle altre un vestito appena acquistato e, provandoselo davanti allo specchio, lamenta il fatto di non avere un decolleté degno dell’abito nuovo, ma subito la più esperta delle tre le fornisce i contatti di un centro di chirurgia estetica che, giura, trasformerà il suo seno e, volendo, tutto il suo aspetto fisico. Una scena così già basterebbe a lasciare interdetto chi è abituato a pensare che un abito si acquista per valorizzare il proprio corpo e non è il corpo che si trasforma per riempire degnamente un vestito, ma la sorpresa non si esaurisce nella perversa fantasia del creativo, anzi diventa prima beffa, poi incredulità, infine rabbia sul sito “La Clinique” che è la tomba dell’uomo inteso come essere pensante. “La Clinique” ( chirurgia estetica unica per te) oltre a proporre un vasto campionario di interventi plastici di ogni genere declinati sia al maschile che al femminile, si spinge fin dentro il sogno di tutte le donne invitandole ad arrivare al giorno del matrimonio pensando “alle foto, che rappresenteranno la memoria indelebile di quel giorno” al fatto che “ le luci del palcoscenico saranno proiettate esclusivamente su di te ed essere in forma smagliante sarà un imperativo” e non di meno che è necessario “confermare al tuo futuro sposo che ha scelto la donna giusta”. Tutto questo come? Ma è chiaro: con un intervento di chirurgia plastica che può variare da un ritocchino alle labbra ad una gonfiatina alle tette, da un rimodellamento del fondoschiena, ad una più armoniosa profilatura del pube,  ad una correzione del disegno dei genitali, per arrivare fino ad una imenoplastica con cui, al prezzo di circa 4500 euro, si può creare “una situazione simile a quella precedente al primo rapporto sessuale” e prendersi il gusto di “rivivere una seconda prima volta” e probabilmente anche una terza o una quarta. Il tutto, sembra anche giusto, è possibile farselo regalare dagli invitati stilando un’adeguata lista nozze. Insomma tra acido ialuronico, mastoplastica additiva, liposcultura, revirgination, vaginal tightening ed altri artifici di tal genere, ancora una volta la donna è ridotta ad una bambola di gomma degna di essere amata solo per la sua artificiale perfezione. E il cervello? E il sentimento? Roba da vecchi bacucchi, viene da pensare. In fondo chi rimane sconcertato di fronte a tanta vacuità dovrebbe forse essere il primo ad annotare il numero verde di “La Clinique”, perché di sicuro ha già passato i quarant’anni e gli esperti giurano che “è vero che ogni età ha la sua bellezza”, ma per “aprire il nuovo capitolo di vita” è meglio avere un gran bel culo.  E siamo d’accordo su questo. Avere il culo ( pardon, la fortuna) in un mondo come questo di riuscire ancora a credere che la vita è tutta un’altra cosa, battersi nonostante tutto perché i nostri  adolescenti imparino ad amarsi per come sono, saper ridere con un sorriso imperfetto e baciare con una bocca vera non sarebbe roba da poco. E poi, vogliamo mettere? Al compare che ti acquista in lista nozze un bel paio di tette nuove, potremmo mai negare il gusto di fargliele toccare?