Articoli (nuova pagina)






LA BASILICATA ANTIFASCISTA
L'esempio di Lavello
di Anna R.G. Rivelli 
da "Il Roma" del 19 febbraio 2018


La cronaca politica di questi giorni è monopolizzata dalla campagna elettorale: foto di più o meno straripanti comitati che si aprono, declamazioni di programmi come liste dei sogni, interviste a carattere più che altro agiografico, in cui ognuno si dipinge per il santo che crede di essere quasi senza che nessuno obietti di una virgola. E in questo caos calmo, in cui una legge elettorale che non lascia scegliere quasi più nulla ha marginalizzato l’elettore, sottraendogli prima i comizi in piazza, poi persino i manifesti elettorali, rischia di passare in sordina quello che è invece un atto squisitamente Politico ( e la P maiuscola non è casuale) che è stato posto in essere in una cittadina lucana, la quale per questo meriterebbe di diventare “capitale” ed essere indicata come modello di riferimento per tutto il nostro Paese. L’approvazione all’unanimità della mozione che impegna l’amministrazione comunale “a non concedere spazi o suolo pubblico a coloro i quali non garantiscano i valori sanciti dalla Costituzione, professando o praticando comportamenti fascisti, razzisti, xenofobi o omofobi” pone, infatti, la città di Lavello al vertice nella promozione di una Democrazia che il nostro tempo sta rendendo sempre più fievole, deformandone il significato per giustificare qualsiasi nefandezza spacciata per legittima opinione. Il fascismo, però, non è un’opinione così come non lo sono il razzismo, la xenofobia e l’omofobia. Quindi a chi, negando l’evidenza, continua a dire che in fondo la Costituzione non è chiara in merito, va ricordato che la dodicesima tra le disposizioni transitorie e finali della nostra Carta Costituzionale recita che “ è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista” e che tale disposizione è ulteriormente chiarita dall’articolo 1 della legge Scelba nel quale è scritto testualmente: “Ai fini della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione, si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista”. Quindi nessun divieto e nessuna limitazione nel professare valori di destra se si fa riferimento ad una destra liberale e democratica, ma il fascismo ( o forse anche meglio sarebbe oggi dire i fascismi) sono tutt’altra cosa. Il fascismo per sua natura trova terreno di coltura fertile nella nostra epoca, perché essa abbonda di tutte quelle condizioni che servono ad alimentarlo, vale a dire la crisi economica, la povertà crescente, l’esasperato stato di disuguaglianza sociale, il dilagante populismo e l’assoluta disaffezione per la politica, ritenuta sempre più inaffidabile ed incapace di risolvere i problemi concreti della gente. In questo clima ha gioco facile chi, facendo leva sulla smemoratezza se non proprio sull’ignoranza, traccia rappresentazioni idilliche del ventennio, dipingendolo come un tempo di ordine, di sicurezza e di benessere, nel quale la diversità (lo straniero, l’omosessuale ecc…) era bandita perché portatrice di disordine e guasto. L’odio così viene elevato a categoria politica e il diverso da noi  individuato come causa di ogni male e  legittimo bersaglio di una sempre più fomentata violenza. Il pensiero comune si fa acritico e aberrante, e in un clima di stupidità saccente si finisce per cercare in ogni modo lo scontro,  per agitare la Giornata del Ricordo contro quella della Memoria, le foibe contro l’olocausto, facendo perdere di significato due ricorrenze che dovrebbero essere vissute solo come incancellabile lezione della Storia.   Questo sta accadendo oggi. E sta accadendo da una parte con l’assenso e il sostegno di gruppi politici e/o religiosi estremisti,  dall’altro con il pavido silenzio degli altri, troppo timorosi o cauti o collusi per difendere a viso aperto i valori fondanti della nostra Repubblica.
Per questo va sottolineato il merito del Sindaco Sabino Altobello e della sua giunta; vanno ringraziati l’ANPI e tutti coloro che a vario titolo si sono impegnati fattivamente in difesa dei valori costituzionali e va chiesto esplicitamente alle amministrazioni di tutti gli altri Comuni lucani che si impegnino a fare altrettanto.

                                                  Anna R. G. Rivelli



°°°0O0°°°







LE MANCATE DISSOCIAZIONI DEL GARANTE
Dal livore per le minoranze all’esaltazione del fascio,
 fu tutta una distrazione
di Anna R. G. Rivelli
da “Il Roma” dell’11 dicembre 2017

“Eletto non nominato! come ama ripetere con piglio deciso”. Così Donato Fabbrizio scrive di Vincenzo Giuliano in un post pubblicato nella pagina facebook dell’Associazione dei Liberi e Forti di Basilicata il 29 novembre 2016. Eppure di questa elezione/non nomina la Basilicata ha grande memoria, perché fu necessario allora (nel 2014) affrettarsi a rimuovere più di qualche incompatibilità per poter affidare a Giuliano il ruolo di Garante, compresa quella del limite massimo di età, che da lì a pochi giorni sarebbe diventata irremovibile. Evidentemente, si potrebbe sospettare, non esisteva uomo più adatto di lui a ricoprire questo ruolo. Anzi di più, il ruolo si potrebbe dire creato di proposito per lui visto che, ci ricorda sempre Fabbrizio, è “ruolo istituito nella regione e mai ricoperto da nessuno prima di lui”. Sarà per questo che lo stringato comunicato diffuso sabato scorso da Giuliano per dissociarsi dal suo portavoce appare davvero poca cosa, troppo misero per poter fare chiarezza sulle agghiaccianti esternazioni diffuse a mezzo stampa da Nigro nei primi giorni di dicembre. Cominciamo col dire che Giuliano si dissocia da una sola delle due ultime note (quella del giorno 8 dicembre) e non da quella già fin troppo violenta ed offensiva pubblicata sul Roma il giorno 1 dicembre, nota nella quale in sostanza si attribuiva la colpa del femminicidio alle donne stesse, ree secondo lui/loro di emancipazione dalle situazioni di degrado familiare. Sarebbe doveroso, quindi, che il Garante si dissociasse senza mezzi termini anche dalla prima, abbandonando alla deriva il povero Nigro, sempre ammesso che possa farlo, sempre ammesso che la nota sia stata scritta solo a due e non piuttosto a quattro o persino a sei mani. Perché francamente due cose sono poco convincenti in questa storia: la prima è che Nigro possa aver fatto tutto da solo e che, non contento di aver già toppato la prima volta, abbia perseverato e rincarato la dose senza minimamente consultarsi con Giuliano; insomma, sarebbe una testa di ferro, e, obiettivamente, è difficile crederlo fino in fondo, a meno che non sia lui stesso a sacramentare di aver fatto maldestramente tutto di sua esclusiva iniziativa. Ma anche nell’ipotesi di questa evenienza, risulta strano credere (e questa è la seconda cosa poco convincente) che il Garante, la cui agiografica descrizione campeggia sulla pagina dei Liberi e Forti, non si sia accorto mai che da molti mesi il suo portavoce continuava a farla, sommessamente, sempre fuori dal vaso. Le due note citate, infatti, entrambe di dicembre, non sono le uniche sottoscritte da Nigro in qualità di portavoce e pubblicate negli ultimi mesi. Tra luglio e dicembre, infatti, ce ne sono state altre, tutte contenenti esternazioni molto al limite della condivisibilità per chi ricopre un ruolo di garanzia. Di luglio scorso è, ad esempio, un articolo apparso sul Roma in cui Nigro scrive frasi del tipo  L’impegno politico viene solo riservato all’accoglienza dei profughi” e peggio “Qualche mente eccelsa ha pensato bene di sostituire con i migranti i giovani emigranti, adducendo la nobile motivazione dell’accoglienza, senza rendersi conto che in questo modo avviene automaticamente la sostituzione etnica e soprattutto religiosa”. Di agosto è invece un altro articolo innocuamente storico ( ma la storia non è mai innocua! ) in cui si esaltano i “vescovi moralizzatori” che consideravano “i liberali uomini dissoluti” , si palesano sentimenti anti unitari  e si chiosa con un “ I liberali non erano tanto liberali…. D’altronde oggi la situazione non è cambiata col pensiero unico neo-liberale”. Il 27 ottobre arriva poi una nuova nota sulla famiglia lucana. Anche qui il portavoce si esalta “La famiglia lucana, e non solo, è una risorsa importantissima, eppure è troppo trascurata di nostri politici, che sono impegnatissimi invece a fare tutt’altro: ad esempio, a difendere i diritti dei gay, delle coppie di fatto, dei figli pretesi ma non fatti, degli extracomunitari che approdano tutti con gli smartphone…”; continua così: “Questa società abietta e rinnegatrice dei valori morali fa di tutto e di più per tutte le minoranze pretendenti di diritti, ma non fa nulla per la famiglia, già disgregata dalla piaga del divorzio”. Poi, prima di scatenarsi con frasi del tipo “Noi abbiamo sempre combattuto contro i Saraceni”, “Certi atteggiamenti ci ricordano la lupara” o addirittura “era meglio il Fascio!”, Nigro propone una frase (“Già Lenin diceva: volete distruggere una società? Distruggete la morale! E quella vi cadrà in mano come una pera cotta! Neppure i sovietici avevano distrutto la famiglia…”) che deve essergli tanto cara da averla rispolverata pari pari nella sua nota dell’8 dicembre, quella da cui Giuliano dice di dissociarsi.  Possibile che Giuliano in tutti questi mesi non si sia mai accorto di niente? Né dell’esaltazione del Fascio, né del livore contro “tutte le minoranze pretendenti di diritti”, né dei giudizi approssimativi sugli extracomunitari? Se anche fosse così, non sarebbe meno colpevole, perché la distrazione ad oltranza non è contemplata tra le doti di un Garante.
Ma nel comunicato diffuso sabato, Giuliano scrive anche: “In merito poi al movimento “Liberi e Forti di Basilicata” preciso che dal 2014 non ne faccio più parte", credendo evidentemente così di togliersi da qualsiasi imbarazzo. Purtroppo per lui, però, le testimonianze del fatto che proprio lui è stato amministratore unico della pagina facebook dei Liberi e Forti di Basilicata (per ben 8 anni e fino a tre o 4 giorni fa) restano negli screenshot e non è rimedio sufficiente ( anzi è piuttosto indice di “colpevolezza”) l’aver in fretta e furia ceduto il ruolo a quel Donato Fabbrizio (peraltro da lui stesso aggiunto al gruppo circa 5 anni fa) che, nella pagina del movimento politico, funge da portavoce del Garante, diffondendo a piene mani comunicati delle varie iniziative, compreso quello che, il 28 maggio, testimonia di un garante tanto super partes che va a parlare di fede ai ragazzi della scuola media La Vista. Inoltre, tanto per completare il quadro, lo stesso Giuliano da amministratore condivideva i post di “Fuoco vivo” (dopo le ultime polemiche magicamente spariti), band di propaganda ultracattolica, nata a Satriano di Lucania, e fondata, tra gli altri, da Rocco e Antonio Giuliano, due giovani musicisti che con il Garante non condividono probabilmente soltanto il cognome.
Alla luce di questo, forse opportuna sarebbe una verifica anche da parte di chi lo ha nominato  ops! eletto) perché, benché sia ormai consuetudine (consuetudine a  cui non vogliamo tuttavia abituarci) che le cariche vengano distribuite in rapporto a convenienze ed accordi politici e non già a meriti e idoneità ai ruoli, sarebbe già qualcosa se, tra gli sponsorizzati, si scegliessero almeno i meno peggio. Cosicché non basta fare  adesso di Nigro il capro espiatorio, perché da quanto scritto negli ultimi sei mesi Giuliano doveva accorgersi e dissociarsi già da molto tempo. Discriminazione, omofobia, razzismo, approssimazione, populismo… tutte cose che si sintetizzano in quel “Era meglio il Fascio!”  da cui un Garante avrebbe dovuto prendere distanze immediate e non solo apparenti. 




°°°0O0°°°








THE VOICE
(La voce che persevera e rincara la dose di chi è?)
di Anna R.G. Rivelli 
da "Il Roma" dell'8 dicembre 2017
      

Femminicidio: alla richiesta di chiarimenti, fatta al Garante per l’infanzia e per l’adolescenza della Regione Basilicata dalle pagine di questo giornale, Nigro risponde al posto di Giuliano. Ci domandiamo: è ancora una volta il portavoce che parla al posto della “voce”? Se è così, inorridiamo; se non è così, ci domandiamo perché il solerte portavoce non annovera tra i mali che affliggono la nostra società anche il suicidio. E già, perché quello di Vincenzo Giuliano che, ostinandosi a non rispondere, si fa rappresentare da codesto signore, è un suicidio bello e buono; e non già un suicidio assistito, ma un sparo alla tempia, peraltro mal fatto e perciò ancora più doloroso. Lo scritto di Nigro è, infatti, bizzarramente farneticante e ancora una volta, tra le citazioni pseudo-colte usate alla ca…suale maniera e il maccheronico repertorio di oscurantismo biblico (“Chi è che ci può essere dietro questo infame progetto se non Satana?” arriva a chiedersi questa volta), esprime una violenza e una ignoranza senza pari. Perché di ignoranza si tratta se uno arriva persino ad attaccare Pittella ( che non staremo noi qui a difendere non fosse altro perché questa nomina di “sospetta” garanzia l’ha fatta lui) sostenendo che “Tutto si fa per i femminicidi, per i gay, per i disabili, per i migranti, per questa o per quell’altra associazione, per l’ecologismo ipocrita e fanatico dei radical chic in un pianeta inquinatissimo ed al rischio del collasso climatico, ma niente si fa più per la famiglia…”. Dunque è evidente che, preso dal furore censorio, Nigro ignora completamente ciò di cui sta parlando; affermare che si fa tutto per i femminicidi, per i gay, per i disabili e nulla per la famiglia significa non farcela proprio a capire che le famiglie distrutte da un femminicidio, minate dalla discriminazione o sofferenti per la presenza di un malato grave sono proprio quelle più deboli e quindi quelle più bisognose di aiuto; o ritiene, il Nigro o persino il Garante, che le donne morte, i gay e i disabili ( oscenamente tirati in ballo nella sua fanatica requisitoria) siano entità astratte? Ritiene l’uno (o entrambi) che le donne morte, i gay e i disabili non siano parte di una famiglia? O ritiene l’uno ( o entrambi) che le famiglie da aiutare siano quelle da reclame di biscotti? O magari quelle patriarcali intese nel peggior senso, così come ha scritto il portavoce con la solita dualistica contrapposizione padre=positività, madre/negatività? Poi arriva anche la tirata in odore di razzismo (“E poi perché i figli degli extracomunitari non devono pagare il nido, la mensa, il mutuo, il pronto soccorso, le cure mediche ed i nostri devono pagare?”) e quella in odore di pervicace misoginia, con lo sbeffeggiamento delle donne “emancipate e libere”, accusate neanche tanto velatamente di immoralità, e la minimizzazione del fenomeno femminicidio (“Perché, invece di pensare solo al femminicidio, con tutto il rispetto per le vittime…”); l’apice del climax arriva poi con la tirata ultracattolico-nazionalista (“Non a caso tutti i grandi regimi totalitari, di destra e di manca – neppure in URSS – avevano toccato la famiglia […] E decidendo di far fuori la famiglia ha anche decretato la fine della religione e della patria).
Insomma, se è vero, come Nigro scrive, che Giuliano avrebbe presentato al governo Pittella “notevoli proposte risolutive di problemi sociali legati all’infanzia… proposte che rivoluzionerebbero il sistema sociale”, non resta che rammaricarci del fatto che lo stesso Nigro non sia ancora adolescente, perché magari, chissà, una di queste proposte avrebbe risolto anche il suo caso.
Ciò detto, è ovvio che non si può far altro che rinnovare l’invito al Garante ad esprimersi per spiegare se è lui o no la “voce” che Nigro porta. Non si può che sollecitarlo a rispondere e a dissociarsi, perché è chiaro che lo stanno ( o si sta) “suicidando” e il suicidio non è né morale né cristiano. Questo suo, poi, non è neanche stoico.

       
Lo scritto di Nigro a cui si fa riferimento è disponibile a questo link



°°°0O0°°°




                                     

L’ALTRO VOLTO DELLA MISOGINIA
     di Anna R.G. Rivelli
da “IL ROMA” del 4 dicembre 2017

Solo pochi giorni fa, il 25 novembre, si è celebrata come ogni anno la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, ricorrenza sacrosanta se si considera che solo in Italia (nella civilissima Italia!) nei primi dieci mesi di quest’anno sono state uccise ben 114 donne, un terzo delle quali per mano del partner. Fortunatamente il livello di attenzione sul problema si sta alzando, le vittime cominciano ad avvertire un maggiore sostegno da parte delle istituzioni e della società e, soprattutto, si è acquisita la consapevolezza che bisogna intervenire alla radice se si vuole debellare quello che è un problema di natura squisitamente culturale, perché il sangue delle donne non sporca soltanto le mani degli esecutori finali, ma irrimediabilmente macchia la coscienza di quanti la violenza l’hanno fomentata e continuano a fomentarla. La misoginia, infatti, non ha unicamente il volto losco e la mano lurida delle stupratore o dell’omicida; può avere anche la stupida ironia del ragazzotto che sui social sbeffeggia le donne che manifestano,  il doppiopetto del politico che propone mozioni e leggi discriminatorie o il piglio sentenzioso del portavoce di un’associazione o di un movimento, uno a caso, come per esempio quello di “Liberi e forti” di Basilicata. Sul Roma del primo dicembre scorso, infatti, il signor Nigro si è prodotto in un commento sul tema che, più che da un quotidiano del XXI secolo, pare tratto dalla satira di Giovenale contro le donne.  “ Da dove vengano tali mostruosità, che origine abbiano, questo vuoi sapere? – scriveva nel II secolo d.C. il poeta latino, scandalizzato dall’emancipazione femminile - Una condizione modesta garantiva un tempo la castità delle donne latine; le distoglievano dal contagio dei vizi la casa minuscola, la fatica, il sonno limitato, le mani rovinate e irruvidite dalla lana etrusca, l'assillo di Annibale alle porte di Roma” . “Perché questo fenomeno cresce a vista d’occhio? – scriveva invece l’altro giorno Nigro, parlando del femminicidio -  È una delle piaghe  d’Egitto in risposta alla piaga del divorzio”  La differenza tra i due, al di là di quella temporale di più di qualche secolo, sta nel fatto che il primo si prendeva sul serio assai meno del secondo. Nigro, infatti, continua con toni patetici a citare l’ordine divino violato, i figli sbandati e disorientati, Freud, gli adulteri, la gelosia come sentimento naturale, il fuoco dal cielo, il diluvio universale, Sodoma, Gomorra, la malattia mortale, l’atomismo sociale e tutta una serie di assurde amenità infilate una dietro l’altra più o meno alla rinfusa per arrivare a sentenziare che questo tumore (cioè il divorzio) distruggerà l’intera società occidentale; alla fine suggerisce convinto il modo di debellare il femminicidio “Volete guarire questo male...? -scrive- Ebbene! Togliete il divorzio e l’aborto”. Insomma, talmente è assurdo e paradossale ciò che Nigro scrive e talmente violento è il sentimento misogino che anima le sue parole, che forse se quel povero Freud, tirato in ballo a vanvera in cotanto sermone, potesse avere la possibilità di dire la sua, ne saprebbe ben spiegare l’origine. Tuttavia Nigro è un portavoce e un portavoce non esprime il proprio pensiero, ma quello del gruppo che rappresenta. E il gruppo che Nigro, in qualità di portavoce, rappresenta si chiama “Liberi e Forti”, associazione di formazione culturale e politica, come recitano le informazioni della pagina facebook dedicata. Ma, meraviglia delle meraviglie, dalle stesse note informative si può apprendere che, da ben otto anni, amministratore della pagina è Vincenzo Giuliano, il garante per l’infanzia e l’adolescenza della Regione Basilicata. Così, di fronte ad una notizia che lascia quanto meno perplessi, continuando la ricerca, si giunge ad appurare che Giuliano, nell’anno in cui fu nominato garante, di questa “Associazione Liberi e Forti” era addirittura il presidente ( e non si capisce se ancora lo sia) e in tale ruolo già partecipava a presentazioni di nuove formazioni politiche insieme ad altri campioni della promozione dei diritti e delle pari opportunità, come, tanto per citare l’esimio, il consigliere Aurelio Pace.
A questo punto è obbligatorio chiedere al dottor Giuliano se quella raffica di oscenità che il portavoce Nigro ha impudentemente scritto e pubblicato rappresenta la summa della filosofia dell’Associazione e, di conseguenza, anche di lui che ne è stato il presidente e ne è da otto anni l’amministratore della comunicazione social. E se chiedere è obbligatorio, doveroso da parte sua sarebbe rispondere, perché delle due l’una: o il Garante si dissocia apertamente e totalmente dalle parole, e soprattutto dal pensiero, di chi definisce adultere le donne divorziate e  compatisce invece i “poveri padri divorziati”, oppure deve spiegare quale garanzia può mai rappresentare nei confronti di quella infanzia e quella adolescenza che spesso vive proprio nella famiglia l’angoscia delle più subdole violenze. Nigro scrive: “Il femminicidio è la conseguenza del disagio psicosociale prodotto dallo sconvolgimento e dallo sfaldamento del nido familiare”; e ancora: “La gelosia è un sentimento naturale, anche se portato in extremis può degenerare in violenza”; e come se non bastasse aggiunge: “Provate a parlar male di un gay, e vi scateneranno contro l’inferno…”. Cosa di tutto ciò pensa il dottor Giuliano? Sono queste le sue parole, i suoi sentimenti, la visione del mondo che guida la sua azione di garante? È questa la considerazione che avrà delle madri che fuggono dalla violenza di un uomo? Non saprà far di meglio che definirle adultere? E compatirà i padri violenti? E come garantirà la libertà di una adolescente che volesse emanciparsi da un padre padrone? Lo scenario si prospetta veramente molto inquietante. In attesa di avere risposta e nella speranza di sentire il dottor Giuliano dissociarsi categoricamente dalle parole del portavoce (che nel qual caso meglio farebbe a spiegare chi rappresenta se non solamente se stesso), va chiesto anche alle istituzioni, ovviamente nelle persone di  coloro che fanno le nomine in ruoli così importanti e delicati, se prima di riempire le caselle dei loro organigrammi, si pongono qualche domanda, si leggono qualche curriculum, si accorgono di qualche evidente incompatibilità.


L'articolo di Nigro a cui si fa riferimento è reperibile a questo link http://noicittadinilucani.ilcannocchiale.it/post/2858856.html   


°°°0O0°°°





SU UNA PANCHINA ROSSA
Anna R.G. Rivelli
da “Il Roma” del 25 novembre 2017

Tutte le celebrazioni hanno un senso se il senso sappiamo darglielo, altrimenti diventano pura formalità e finiscono per sgretolare piuttosto che rafforzare il messaggio che vorrebbero portare in sé. Perciò alla giornata del 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza di genere, siamo chiamati a dare il senso più denso e concreto possibile, senso che possa sì esprimersi nelle varie manifestazioni ed eventi che per l’occasione vengono organizzati, ma possa anche travalicarli, per restare non come riflessione occasionale di un momento, ma come quotidiano stile di pensiero e di comportamento di ciascuno di noi. Perché proprio di ciascuno di noi si tratta quando si parla di violenza di genere. Siamo tutti coinvolti a vario titolo, tutti attori sulla scena dove, diversamente da quanto ancora in troppi credono,  non è una fiction ad essere rappresentata, ma una delle più evidenti tragedie del nostro tempo, tragedia che non conosce confini né geografici né culturali e fa scorrere un contatore di morte (morte di corpo e di anima) che non può essere ignorato da nessuno. Per questo occorre parlarne e parlarne ogni giorno.
La violenza di genere si esprime intorno a noi, anche qui, nella nostra città e nella nostra regione, meno nascosta di quanto possa sembrare. Quasi sempre nasce nelle parole e colpisce le donne sin da quando sono bambine; parole “innocenti”, spesso tramandate da una tradizione socio-culturale ancora da molti ritenuta esemplare punto di riferimento, che sono acqua cheta che scava. Non di rado essa  si maschera sotto appellativi edulcoranti (galanteria,  spirito di iniziativa, intraprendenza, machismo…) e contemporaneamente maschera quel sottile senso di inadeguatezza che certi uomini provano di fronte alle donne che non corrispondono più al modello interiorizzato: le donne o sante o streghe. Per costoro se sante, le donne non avrebbero che da starsene col sorriso dipinto, immobili sugli altari; se streghe altro non meriterebbero che il rogo. E così passare dalle parole ai fatti è spesso un attimo; e i fatti non sono solo le percosse fino alla morte, non sono solo gli stupri, ma anche quelle molestie attraverso le quali si tenta il dominio e la prevaricazione sull’altro, magari approfittando del suo stato di difficoltà o di bisogno. Questa, purtroppo, è ancora quotidianità a cui nessuna, nessuna donna è sfuggita del tutto nel corso della sua vita.
 Ma se parlarne è necessario, parlarne nel modo giusto è vitale, perché tanto la banalizzazione quanto l’esasperazione del tema sono ostacoli insidiosi per qualsiasi tentativo di risoluzione del problema. E purtroppo banalizzazione ed esasperazione caratterizzano il più delle volte gli agoni televisivi, specie in questi giorni in cui il mondo sembra aver improvvisamente scoperto il maschio alfa, come fosse razza finora sconosciuta e aliena, e la fanciulla modello Biancaneve che, sognando il principe, non pensa di doversi difendere dai nani. Questa in sostanza è la semplificazione che si sta facendo di un problema che semplice non è e che è invece tanto più complesso quanto più antico e duraturo. Verissimo è che il coraggio di parlare per chi è vittima di violenza ha tempi di maturazione lunghissimi, tempi che servono a metabolizzare almeno un poco il dolore e a superare la vergogna che sempre perseguita le vittime, ma si è sicuri di fare un buon servizio alla causa spettacolarizzando certe  prese di coscienza, facendone tema di una narrazione superficiale in cui il sistema dei personaggi si stereotipizza e ripete sempre uguale, privo di sfumature, condito da lacrimoni scenografici, commenti inutili e applausi solidali di un pubblico che un attimo dopo è disposto ad esaltare il ripetersi di insulsi cliché in idiot-show come “Uomini e donne”?  Non è, tanta banalizzazione, violenza anch’essa che si riversa sulle vittime più deboli, quelle che non sono attrici famose, non sono miss rampanti, e che con minore afflato solidale restano ad affrontare la quotidianità laddove i riflettori non ci sono e quel can can dei media risuona come voce di un mondo a parte, di un Eden dove tutto luccica e tutto può avvenire senza danno? Insomma, una cosa è la testimonianza, un’altra la teatralità, una cosa la condanna sacrosanta, un’altra la generalizzazione. Se il dolore diventa spettacolo, perde la connotazione di realtà per acquisire quella di finzione; e la finzione si archivia facilmente tra le favole, cosicché anche la possibilità di salvarsi nella percezione delle donne “comuni” finisce per diventare meno che una ipotesi remota. D’altro canto catalogare come violenza anche ciò che violenza non è, ribaltare la caccia alle streghe urlando al maschio in quanto maschio, rifiutare i distinguo tra un’azione inopportuna e una violenta, significa potenziare le difese dei colpevoli nella nebbia di un proverbiale se tutto è male niente è male.
E dunque impegniamoci tutti a riempire di senso la giornata del 25 novembre. La violenza di genere va denunciata. Parliamone sempre. E parliamone bene.


°°°0O0°°°



SE LE PAROLE NON SONO CHIACCHIERE
di Anna R. G. Rivelli
 da "Il Roma"  del 23 ottobre 2017

“Teoria gender, secondo gli autori, non è una forzatura, ma è la sintesi degli studi di genere, con una pianificata strategia di imposizione di questa dottrina controversa nei piani di studio dagli asili alle scuole di ogni grado. Prevede anche esercizi pratici di mortificazione emotiva e corporale, come il proposito di vestire maschietti da femminucce, ed altre pratiche raccapriccianti”.
Bene è specificare subito: questa è la frase che, sul sito del Mibact, conclude la breve presentazione del libro “Gender, ascesa e dittatura della teoria che non esiste”. Sì, è vero: quell’ “esercizi pratici di mortificazione emotiva e corporale” che sarebbero propinati a bambini delle scuole di ogni ordine e grado ha un che di estremamente inquietante, sembra addirittura una citazione estrapolata da un qualche antichissimo manoscritto, espressione delle tappe più oscure della nostra civiltà. Ma questo è. Il libro, di cui è orgoglioso coautore il consigliere regionale Aurelio Pace, è stato pubblicato meno di due anni orsono e fa mostra di sé, con il suo indice ben in vista per invogliare improbabili lettori, su siti  di e-commerce e  siti “specializzati” nell’ossessione del gender.
La “teoria gender non esiste”, ma a scuola i maschietti mettano la gonna. Il “genere è liquido”, ma se vuoi “tornare etero” il “genere” diventa “solido”: vai perseguitato. Gli omosessuali non integralisti del gender sono “omofobi”: i bambini si devono vendere. Quando Cenerentola era ariana, pardon lesbica, così vogliono sponsor e poteri forti.  La pianificazione e l’aggressione del gender ai bambini di ogni età ed ai docenti. Questi sono solo alcuni dei titoli dei più di venti capitoli che costituiscono il libro. È evidente che non è necessario aggiungere altro per doversi schierare dalla parte del segretario nazionale dell’Arcigay, apprezzando e sottoscrivendo la sua presa di posizione contro la possibile elezione di Aurelio Pace in un ruolo di garanzia quale dovrebbe essere quello del Presidente del Consiglio regionale. Aveva già dell’incredibile il fatto che un profilo come quello di Aurelio Pace fosse considerato papabile per la presidenza del Consiglio regionale lucano, con maggioranza di centrosinistra - scrive Gabriele Piazzoni nel suo duro comunicato; e aggiunge - l’elezione del consigliere Aurelio Pace alla presidenza è un errore da non commettere, perché rappresenterebbe una legittimazione se non addirittura una promozione della sua azione omofoba e discriminatoria. In tema di uguaglianza e di diritti occorre che la politica dica senza ambiguità da che parte sta”. Ed è soprattutto questa sua domanda che è necessario condividere per capire, noi cittadini prossimi peraltro a nuove elezioni, se è carne o pesce questa nostra rappresentanza istituzionale.  È necessario capire e, perché noi capiamo, è necessario che si spieghino bene il Presidente Pittella  e tutto il Consiglio. A questo punto non bastano più neppure le uscite impreviste, le fughe dall’aula, il numero legale che viene meno e la politica in stallo nelle catene degli accordi temerari e sconsiderati che null’altro hanno in conto che una logica di spartizione. Sono uomini o caporali questi nostri consiglieri? Hanno o non hanno il coraggio del proprio pensiero e delle proprie azioni? E quello che pensano in teoria, hanno la volontà di metterlo in pratica o la teoria gli serve soltanto per sollazzare l’ego elettorale di qualcuno? Queste sono le domande. A Mario Polese, per esempio. Nella quaranteseiesima seduta consiliare, a luglio di due anni fa, Polese pronunciava frasi forti nel chiedere, con una sua ottima mozione, l’adesione della Regione Basilicata alla rete READI (Rete nazionale delle amministrazioni pubbliche anti-discriminanzione per orientamento sessuale ed identità di genere). Asseriva “che le persone omosessuali e transessuali sono ancora a forte rischio di discriminazione, laddove perduri una cultura condizionata da stereotipi e pregiudizi”; e controbatteva veementemente alle osservazioni del Consigliere Rosa con queste testuali parole:  “È evidente che purtroppo siamo ancora in una fase di grande arretratezza culturale, per cui c’è la necessità di rimarcare una tutela di diritti che sono diritti essenziali”. Sembra legittimo perciò chiedersi se credeva a quello che diceva allora chi oggi, più che della citazione di Ban Ki-moon (“Lasciate che lo dica chiaro e forte: le persone LGBT hanno gli stessi diritti umani di qualunque altra persona. Anch’esse sono nate libere ed eguali”) sapientemente utilizzata in quella medesima seduta consiliare, subisce il fascino dell’accordicchio che nemmeno serve a garantire le alleanze (dato che espressione dell’alleanza è già Franco Mollica), ma solo meschinamente le aspirazioni di chi alla pancia degli sprovveduti dà in pasto il dolore dei discriminati, contemporaneamente sfamando e stimolando paure oscurantiste. E gli altri 14 su 15 votanti favorevoli di quella mozione dove sono? Cosa dicono oggi ? E il Presidente Pittella ( uno dei fuori per caso durante la votazione sulla famigerata “mozione antigender” dello stesso Pace) si distrae ancora una volta o, in scienza e coscienza, decide di perseguire il suo fine politico, snobbando e ignorando le legittime istanze di chi crede davvero che sia necessario che le Istituzioni democratiche, prima di tutti, rimarchino la tutela dei diritti che siano diritti di tutti perché le persone omosessuali e transessuali sono ancora a forte rischio di discriminazione, laddove perduri una cultura condizionata da stereotipi e pregiudizi?
La politica perciò dica apertamente da che parte sta. E se crede davvero che sia in atto una pianificazione dell’aggressione gender ai bambini di ogni età, elegga pure Pace suo Presidente. Suo, appunto. Suo di quel manipolo del Consiglio. La Regione Basilicata, invece, “riconosce la persona come centro di valore, soggetto di diritti e doveri senza distinzione alcuna e considera l’identità personale di ogni individuo come una qualità assoluta, unica e irripetibile… concorre alla tutela dei diritti della persona e opera per superare le discriminazioni legate ad ogni aspetto della condizione umana e sociale… rifiuta ogni forma di violenza e discriminazione, opera per prevenirne e rimuoverne le cause …” (art.5 dello Statuto Regionale).



°°°0O0°°°




DA QUALE PULPITO
di Anna R. G. Rivelli
da "Il Roma" del  27 settembre 2017

Basilicata: tempi duri per i poveri cristi! E sì che quella della edilizia popolare è un’emergenza un po’ ovunque in Italia, ma almeno per il Re dell’Universo, almeno in una terra in cui la monarchia è così sentita che i decreti regi non si abrogano mai nel cuore dei VIP, le cose dovrebbero andare diversamente. E invece…
Sfrattato dalle stanze della Regione più di tre anni orsono, all’apparir sulla scena dell’assessore Franconi che per quell’atto ( e per null’altro) sarà evidentemente ricordata, il povero Cristo vagolava smarrito per la città, perseguitato da chi lo difendeva più ancora che da chi una casa gliel’avrebbe pure assegnata, comoda e  sacra, purché non comunicante con quella dello Stato. Pareva smarrito il poverino, perché, un po’ sovrano e un po’ clochar, godeva di portavoce mai nominati e continuava a passare per quello che non era, tra preghiere di riparazione seminate a destra e a manca per una città in disarmo. Poi finalmente, la Chiesa.
La Chiesa è casa di Cristo per eccellenza. Era casa di Cristo per eccellenza. E già, perché dopo il comizio non proprio ben riuscito del Sindaco De Luca in piazza Matteotti, nello scorso mese di Giugno, l’agone politico dell’amministrazione cittadina necessitava di spazi più sicuri. E quali migliori di quelli della Chiesa? “O no!”deve aver esclamato il nostro povero Cristo che paziente, sì è paziente, ma fino a un certo punto. In realtà tra una scusa e l’altra, una cartaccia in terra e un cassonetto strapieno, l’umido che ti marcisce in casa e le bottiglie rotte nel centro storico, l’amministrazione in forze ha occupato la casa del Signore, anzi le case, cosicché da un quartiere all’altro, da una parrocchia all’altra, da un San Pietro a un San Rocco mi sa che il Cristo ha da cercarsi nuova casa. Si domanda, infatti, Lui come noi ( e strano è che non se lo domandino i professionisti del Padrenostro) se è veramente consono che i comizi si facciano in chiesa; e già che parlare di “monnezza” nella casa di Dio non è che sembri proprio rispettoso, ma se alla monnezza fisica, si aggiunge pure quella immateriale delle “prediche”di chi va a ad autocelebrarsi, dando numeri e cifre, sostituendosi da un lato al sacerdote, dall’altro al santo stesso, forse qualche domanda bisogna farsela, o magari farla anche ai parroci, o a chi va a pregare davanti ai musei ma poi chiude gli occhi sui mercanti nel tempio. Le foto apparse sui giornali dell’assessore Coviello e del Sindaco che pontificano sugli altari dovrebbero farci rabbrividire, perché i passati più oscuri ritornano, perché snocciolare in chiesa meriti autoassegnatisi mentre in municipio tante interrogazioni ancora attendono risposta è l’ennesima insolenza fatta ai cittadini. Da quale pulpito, insomma, arriva questa ennesima predica?! E la differenziata? E la raccolta porta a porta? E il decoro della città? Fuori dai templi, siamo ancora in attesa di un miracolo.
                                                  


°°°0O0°°°



IL SELFICIDIO DEI POLITICI
da Gianni Pittella a Aurelio Pace 
di Anna R. G. Rivelli
da "Il Roma" del 31 agosto 2017

Estate, tempo di sole, mare e folleggiamenti, per fortuna ti stiamo archiviando! Le vacanze, infatti, sono sempre più vacanti di buon senso e la smania di apparire, troppo spesso per quello che non si è davvero, spinge a svarioni che, tra il ridicolo e il patetico, ci riportano la fotografia di una società grottesca la quale, se al sole estivo può sembrare solo allegramente imbecille, con le prime luci mitigate di settembre ci riporterà bruscamente a meditare sulla triste realtà. Se è vero, infatti, che una risata ci seppellirà, c’è da giurare che prima della sepoltura saranno in molti a morire di selfie. Del resto la selfimania ormai contagia tutti, cosicché se per puro caso un nemico ci volesse tendere un agguato, se ci cercasse l’Isis o il nostro  dietologo volesse controllare se stiamo seguendo alla lettera la prescrizione di dieta, basterebbe aprire la pagina facebook o instagram e il gioco sarebbe fatto. E può succedere, come riportato dalla stampa, che uno qualsiasi dei nostri vicini posti la foto di un meraviglioso mare delle Seychelles, favoleggiando di vacanze da sogno, proprio mentre noi lo vediamo in mutande a prendere il sole sul suo balcone. Questo perché alla smania del selfie vero, che non ci risparmia né piedi in primo piano, né sedute di fisioterapia, né documentate notizie di influenze e vari accidenti, si è aggiunta la smania del selfie taroccato, buono a mostrare quello che vorremmo essere o fare o far vedere agli altri di una vita che, evidentemente, riteniamo insoddisfacente o imperfetta. E la cosa non risparmia gli uomini politici, anzi! A dover esclamare “Quoque tu, selfie…!” sono infatti in molti, colpiti a tradimento dal pugnale di quella che ritenevano una amorevole emanazione (un figlio quasi) della propria incontenibile frenesia di autopromozione. Non è passato neanche un mese, infatti, da quando un affranto Gianni Pittella, sciarparossamunito, postava su facebook una sorta di lamento dell’emigrante, cercando di sollecitare un’ammirata e pietosa empatia per il povero parlamentare europeo costretto a lasciare la famiglia in piena estate per recarsi in Inghilterra ad imparare la lingua per il nostro bene, per noi che, quando andrà in pensione, potremo riconoscergli finalmente l’accento di un vero lord anglolauriota. Inutile dire che di empatia il nostro Gianni ne ha suscitata poca, ma lui, recidivo, ha continuato ad aggiornarci sulla sua vita d’oltremanica fino a tranquillizzarci (perché in realtà eravamo tutti molto in ansia) del suo ritorno in famiglia per l’ultima settimana di agosto. Ma archiviato Gianni, rasserenati sulla sua condizione, non si fa in tempo a tirare il respiro che eccone avanti un altro. Povero, povero Aurelio Pace! Anche per lui toccherà impietosirsi. Il 27 agosto, infatti, posta una foto della sua bella famigliola in aeroporto, in attesa di un volo che tarda di qualche ora, così ci aggiorna sul bel sorriso dei suoi bambini e sulla temerarietà del suo barbiere che lo ha evidentemente “lucidato” troppo. Tutto bene però, sono tutti allegri nonostante l’attesa, fanno shopping e noi siamo tutti tranquilli. Il 28 agosto, a metà pomeriggio, il nostro Consigliere ci fa sapere che è a Cagliari e ci mostra le foto di una bella mostra sul Barocco nel Mediterraneo. Tutto bene, dunque. Anzi no. Nello stesso post, infatti, scrive Oggi turisti, domani convegno all'Università di Cagliari.Relax e lavoro”. E qui cominciamo a preoccuparci; ma che diamine, insomma! Un pover’uomo parte per pochi giorni di vacanza, sicuramente autospesati, e deve pure lavorare? Ed ecco che una pietosa empatia comincia a farsi largo nella considerazione del cittadino medio. L’acme del dispiacere, però, il cittadino medio potrà raggiungerlo soltanto il giorno dopo, quando, il 29 agosto, alle 9:31 del mattino, Pace scrive: “Cagliari, Università. Parliamo della nostra Basilicata a chi è parte originale del Mediterraneo”, accompagnando l’annuncio con le immancabili foto, tra le quali una di lui, oratore, in piena attività. E qui il dolore del cittadino si fa lancinante. “Ma come?- si chiede- alle 9:30, in vacanza, in giacca scura, con quel caldo africano, è già nel pieno ritmo di un convegno? Bah! Sarà un convegno sull’insonnia” – si dice ancora il cittadino e si consola notando che a rinfrescare le ugole certamente secche c’è sul tavolo del nostro relatore una bottiglietta dal tappo arancione, molto Gaudiannellostyle. Parlano di Basilicata, a Cagliari, il Consigliere –persona seria-  magari ha preteso l’acqua lucana. Ma poiché il lucano è anche curioso ed ha pure la sindrome dell’abbandono, quando sente che si parla di Basilicata oltre i confini regionali, si inorgoglisce e ne vorrebbe sapere di più. Ed ecco che si mette a cercare notizie di questo convegno agostano, che setaccia il web, che non contento contatta l’Università di Cagliari per averne notizia, che si fa palmo a palmo le pagine degli eventi di tutte le facoltà, ma niente. Ad agosto nulla, nessun evento, nessun convegno, niente Basilicata nei pensieri dei sardi. Delusione! “Ma com’è possibile - si chiede il cittadino medio- se nella foto postata Aurelio Pace sta davvero ad un tavolo di relatori?” E così guarda e riguarda la foto, se la rigira come fosse un santino,  e si accorge che è stata ritagliata a stringere il primo piano sul soggetto e, tranne l’acqua in bottiglia e il microfono, non lascia intravedere null’altro. E guarda e riguarda ancora, si accorge pure che a distanza di un giorno e mezzo dalla foto in aeroporto, capelli e barba  del nostro eroe appaiono straordinariamente cresciuti e rinfoltiti. Miracolo? “Ma no! – si risponde il nostro saggio cittadino- Un convegno, il 29 di agosto, di prima mattina,  in una Università presumibilmente come tutte le altre chiusa o ad attività ridotta, deve essere stato così noioso da stimolare i bulbi piliferi dei relatori e da essere condannato per questo alla damnatio memoriae dall’Università stessa” . Perché il cittadino medio mica è fesso, se le dà le risposte; mica è insensibile, prova dispiacere di fronte a tanta sfortunata abnegazione di un Consigliere. E si chiede, soprattutto si chiede, perché essere così atroci da continuare a rovinargli le vacanze? Vogliamo mettere? È solo un Consigliere e non si gode un giorno. E se fosse addirittura Presidente? Se dovesse preoccuparsi di garantire tutti i Lucani? Se dovesse garantire l’indirizzo di una politica seria e responsabile? Ma no che cattiveria! I suoi colleghi dovrebbero capire che in altri Paesi, per esempio nell’Inghilterra di lord Gianni, di fronte ad una circostanza così avversa, sarebbe stato prescritto un lungo riposo da tutte le fatiche politiche. Siate buoni in Regione! O almeno mostrateci una locandina o stampategliene una postuma come anni addietro facevano fantasiosi esponenti nazionali, figli spirituali di un altro intransigente leader di partito.

                          Anna R. G. Rivelli


°°°0O0°°°




I FISSATI PER L’AMMINISTRAZIONE
(o dell’Hully Gully nella città di Potenza)
di Anna R. G. Rivelli
da "Il Roma" del 14 agosto 2017

Konrad Adenauer, tra i primi promotori di quei processi di cooperazione europea che sarebbero giunti fino alla UE, scriveva che “La storia è la somma totale delle cose che avrebbero potuto essere evitate”. Con la suggestione di tale aforisma, tocca guardare a questi tre anni della città di Potenza; tre anni che nella storia, intesa come totale di cose evitabili, hanno già impresso le impronte di molti uomini, fermo restando che ognuno a suo modo si è dato da fare per evidenziarsi con un proprio perché. Così, tanto per prenderne uno a caso, l’assessore Coviello sarebbe ben potuto restare negli annali per essere rimasto assessore “a titolo personale” dopo essere stato epurato dal partito di appartenenza insieme al collega Bellettieri, ma, avendo voluto strafare, ci resterà forse per il video, orgogliosamente costruito e diffuso, in cui recupera una carcassa di lavatrice da un ciglio di strada boscoso tra applausi e batti cinque dei presenti proprio mentre nel backstage (cioè in tutto il resto fuori onda della città) i topi si moltiplicavano e una differenziata nata con patologia autoimmune rendeva invivibili rioni e contrade. Ma poiché non c’è personaggio storico senza frase celebre, ecco che il nostro, evidentemente più arguto per la politica in social che per le politiche sociali, si è prodotto su facebook in un’espressione memorabile con la quale intendeva sminuire la voce di chi sottolineava da tempo i “misfatti” di Piazza Matteotti. Scriveva più o meno che tutto andava per il meglio e che tutti vivevano felici e contenti tranne qualche “fissato per l’amministrazione” che continuava a cercare pretesti per attaccare Sindaco, Giunta e Consiglio tutto. L’espressione ovviamente era destinata a rimanere proverbiale, perché nella narrazione sapientemente imbastita dai nostri amministratori, i cantori di altre gesta meglio era sbaragliarli con la stigma del rancore, dell’inimicizia politica, dell’interesse personale e di tutto quell’armamentario di negatività che la parola “fissato” prontamente trascina con sé. Ma la storia, si sa, è imprevedibile, cosicché a rendere famigerata più che famosa cotanta definizione, è intervenuto un fatto nuovo, una specie di Hully Gully a cui tutta la città ha iniziato  finalmente a prendere parte. Così, come nell’allegra canzoncina anni ’60, se prima era uno a ballare l’Hully Gully, adesso sono in tanti a ballare l’Hully Gully. Da giorni e giorni, infatti, le denunce si sono spostate dai social ai giornali e si sono fatte sempre più chiare e circostanziate. La differenziata non funziona, le scale mobili sono un disastro, i contratti puzzano, le strisce blu si moltiplicano, alle interrogazioni non ci sono risposte e, dulcis in fundo, si producono ad arte nuovi disoccupati. Così ballano i cittadini, i Sindacati, l’Adoc, ecc… e qualcuno pure canta perché un Pittella ascolti, ma pare non ci sia nulla da fare perché tutto è, ovviamente, in nome del bene della città. Perciò vengono in mente altre parole, frasi celebri di altri personaggi che nel cambiare casacca scrivevano “… oggi il mio posto è altrove, nel Movimento dei Democratici e Progressisti dove provare ad affermare da sinistra un diverso punto di vista che porti a un cambio delle politiche…”. Così anche Iudicello passerà alla storia, ben piazzato sulla poltrona da cui dice di voler “costruire il futuro della Sinistra moderna e riformista in Italia e in Basilicata”, facendo coro a chi da Roma intona “Siamo i Vatussi” , lato b di un disco rotto che non incanta più.


°°°0O0°°°





QUANDO IL SILURO È  INTELLIGENTE
di Anna R. G. Rivelli
da  "Il Roma" del  4 agosto 2017

“Il Consiglio regionale rappresenta la comunità regionale ed esprime l’indirizzo politico della Regione”.
“Il Presidente garantisce, con imparzialità, il corretto svolgimento dei lavori consiliari”.
Tanto si legge nello Statuto della Regione Basilicata, rispettivamente all’articolo 24 comma 1 e all’articolo 27 comma 4. Sono due asserzioni importanti che, pur nel caos che attanaglia il PD locale e nel sospetto ormai perennemente ingenerato nell’opinione pubblica di fronte ad ogni atto politico posto in essere, dovrebbero ritenersi sufficienti a non far leggere la mancata staffetta Mollica-Pace come una questione di screzi interni o di guerre tra bande o di giochi di poltrone. O almeno, una volta tanto, si potrebbe leggere la cosa anche dal punto di vista di un cittadino qualsiasi che prende sul serio lo Statuto, il senso della rappresentanza di una intera comunità attribuita al Consiglio, nonché quello di una necessaria imparzialità di chi lo presiede.
In primis va detto che una “staffetta” tra presidenti o assessori, specialmente quando avviene in tempi relativamente circoscritti, è sempre da vedersi come un gioco di relazioni e accordi di convenienza tra esponenti di partiti che hanno una pur legittima necessità di veder riconosciuto un proprio peso; nulla, però, questi accordi hanno a che fare con il benessere della comunità, posto che tutti coloro che a vario titolo ci rappresentano dovrebbero lavorare costantemente nell’interesse di tutti. Insomma, cambiare un presidente o un assessore avrebbe valore positivo per la comunità solo ed unicamente se si sostituisse un incapace comprovato con un’eccellenza sicura, altrimenti il cambio va considerato nell’ottica del tutto diversa che è, appunto, quella delle relazioni politiche. Ecco perché  dal punto di vista dell’interesse comune, la mancata elezione del consigliere Pace alla Presidenza del Consiglio non può che essere salutata come una benedizione, perché un organo che “rappresenta la comunità regionale ed esprime l’indirizzo politico della Regione” non può essere rappresentato da chi nell’espletare il suo ruolo di consigliere  ha ben dimostrato di avere in spregio l’uguaglianza dei cittadini, la salvaguardia dei diritti comuni e persino il principio di laicità a cui si ispira la nostra Costituzione. Quale imparzialità, quale garanzia ci sarebbero per i cittadini? Il consigliere Pace, sia ben chiaro, ha tutto il diritto di tenersi le proprie opinioni (anche se va sottolineato che l’omofobia non è un’opinione e che la laicità dello Stato è un principio inderogabile), ma non può certo pretendere di rappresentare tutta la comunità né tanto meno di esprimere l’indirizzo politico della Regione che “riconosce la persona come centro di valore, soggetto di diritti e doveri senza distinzione alcuna e considera l’identità personale di ogni individuo come una qualità assoluta, unica e irripetibile… concorre alla tutela dei diritti della persona e opera per superare le discriminazioni legate ad ogni aspetto della condizione umana e sociale… rifiuta ogni forma di violenza e discriminazione, opera per prevenirne e rimuoverne le cause …” (art.5 Statuto Regionale). Con la palma del consigliere anti-gender, il certificato di referente di crociati nostrani in preghiera davanti ai musei,  Aurelio Pace, infatti, non potrebbe mai essere quel presidente a cui, con la certezza di essere compreso ed accolto, un Gaber potrebbe rivolgersi dicendo “ Mi scusi Presidente, ma ho in mente il fanatismo…”.
Se poi si vuole aggiungere il fatto che i lucani possono anche essere afasici, ma la memoria ce l’hanno lunga, va ricordata una certa riunione “carbonara”, mai smentita del tutto dagli stessi protagonisti e mai ancora chiarita, alla quale il nostro mancato presidente prese parte e della quale la stampa dell’epoca riportò poco nobili motivazioni; ed ecco che il cerchio si chiude del tutto a favore di un Franco Mollica suo malgrado tetragono nella postazione in cui è. Perciò, se siluramento c’è stato, una volta tanto si può prendere atto che almeno si  è trattato di una bomba intelligente.


°°°0O0°°°



MUTATIS MUTANDIS
Il moralismo è morale andata a male
di Anna R. G. Rivelli
da "Il Roma" del 14 luglio 2017

Si potrebbe non credere che siano passati quasi cinque secoli da quando uno zelante Daniele da Volterra si adoperò per infilare le braghe a santi e sante della Sistina, arrivando addirittura, come nel caso delle figure di Santa Caterina d’Alessandria e di San Biagio, a distruggere e rifare l’affresco michelangiolesco poiché gli appariva oscena la posa della santa nuda chinata con il santo alle sue spalle ripiegato su di lei. Era il 1564, ma nonostante questi 450 anni che ci separano dalla solerzia del  “Braghettone” ( è questo il nome con cui è da allora conosciuto lo scrupoloso artista) ancora è molto attivo il popolo delle mutande, quello che è capace di strumentalizzare,  a fine più politico che morale ovviamente, qualsiasi cosa pur di ricordare la propria esistenza ad un mondo che, per la verità, la ignora. E così ci ritroviamo a Potenza come nella Capitale, al Museo Provinciale come nei Musei Capitolini, a girare di faccia al muro (e già, è questo che è stato fatto seppure solo per qualche ora nel Museo di Potenza) alcune opere della mostra “Intramoenia”, inaugurata lo scorso 7 luglio, e non già per la visita di un Hassan Rouhani, ma per la “condanna” di una cittadina scandalizzata da alcune immagini. Purtroppo però, come scrisse Pasolini, “Chi si scandalizza è sempre banale; ma, aggiungo, è anche sempre male informato”. E chi è male informato dovrebbe avere l’umiltà di informarsi prima di puntare il dito e ergersi a moralizzatore e censore. Insomma, per essere espliciti, chi non capisce l’arte e neanche ha voglia di capirla, dovrebbe evitare di sollevare polveroni che potrebbero facilmente ritorcerglisi contro. Cominciamo con le puntualizzazioni dunque. La Presidente del Popolo della Famiglia (notoriamente popolo di percentuale da prefisso telefonico) solleva il problema di una Istituzione pubblica che ospita una mostra ritenuta  “fosse anche solo dal Popolo della Famiglia” offensiva della sensibilità; non mi pare abbia mai invece sollevato il problema di patrocini, sponsorizzazioni e spazi pubblici offerti a mostre d’arte sacra con il loro gran tripudio di immagini di morte spesso raccapriccianti, probabilmente capaci di ferire la sensibilità di persone, sicuramente più numerose di quelle appartenenti al Popolo della Famiglia, che ritengono le istituzioni pubbliche laiche e che potrebbero voler difendere i loro figli dalla violenza che si sprigiona da certi martiri o Ecce Homo. La signora grida allo scandalo anche per la nudità di tre fanciulle coperta da una immagine della Madonna; l’opera in questione, di Dario Carmentano, è stata da lui stesso ben “spiegata” e inserita in un contesto di denuncia che ( ah, la scarsa informazione!) non solo non è offensiva, ma è addirittura in difesa di determinati valori oggi troppo spesso assoggettati al marketing e alla superficialità. Ma se anche l’eccellente artista materano avesse taciuto, solo chi fa della strumentalizzazione la propria professione poteva trovare nella sua opera qualcosa di indecente. Pur volendo infatti assoggettarsi a considerare la nudità un gran peccato ( ditelo poi ai Rubens, ai Michelangelo, ai Guttuso ecc…), un’immaginetta di Maria che copre l’ “indecenza” andrebbe letta più come un intervento salvifico nei confronti delle tre “peccatrici” che come un’offesa nei confronti della Madonna. Ma “a far indignare il Popolo della Famiglia è la possibilità che questa mostra possa poi essere vista da bambini e scolaresche…” aggiunge la Presidente. E così finiscono di faccia al muro anche le sbigottite pudenda di un ritratto firmato da Pino Lauria, un Crocifisso in equilibrio sul naso del blasfemo Carmentano ed un altro Lauria in versione satiro con l’aureola. Certo che i bambini non le reggerebbero immagini così. Non le reggerebbero allo stesso modo di come mai potrebbero reggere i genitali del Cristo di Brunelleschi che penzolano dalla croce, o il fallo marmoreo del michelangiolesco Cristo della Minerva, o ancora i seni sprizzanti, sensualmente offerti dalle tante madonne del latte. E tra queste, se volessimo prenderne una a caso, come una scolaresca innocente potrebbe mai reggere la blasfemia dell’algida Madonna di Jean Fouquet? Come le si potrebbe mai spiegare che sotto il nome di “Madonna del latte in trono con il bambino”, nei panni ricchi e sensuali di una regina si cela il ritratto di Agnès Sorel, amante di re Carlo VII, nota per la bellezza del suo seno che amava scoprire abbondantemente? Come non trovare scandalosa e blasfema l’ipocrisia di sacralizzare una cortigiana? E perché dovremmo credere che le tornite figurine rosse che contornano una “vergine” così profana siano serafini e non angeli infernali? Da quanti secoli queste immagini violentano l’innocenza dei nostri figli nelle Istituzioni pubbliche in cui li portiamo per accrescere la loro cultura e addirittura nelle chiese in cui li portiamo per pregare? Non sarà scandaloso che le nostre bambine apprendano l’anatomia del maschio, in tenera età, dai genitali dei santi? O che chiedano spiegazioni sul gesto inequivocabile della fanciulla che, in un quadro del Rubens, offre il suo seno a un laido vecchio? Come glielo spieghiamo che quella è l’allegoria della carità filiale?

Ovviamente, prima che si scandalizzi di nuovo ( due scandali a breve distanza potrebbero certo far male alla Presidente), tengo a precisare che c’è chi è convinto che nell’arte, e quindi  anche in tutte le straordinarie opere citate, fermare la propria attenzione sui retroscena o sui bassoventre e i fondoschiena equivale a contemplare il Creato soffermandosi sui pruriginosi ponfi delle zanzare; perciò non credo ci sia possibilità che qualcuno, benché bambino, subisca shock né per il nudo di Cristo né per l’aureola di Pino Lauria.  Insomma, si può anche capire che le lotte iconoclaste possono tornare utili per dar fuoco al poco spirito di cui si dispone, ma sarebbe scaltro comprendere che di questi incendi non è mai morta la civiltà né l’arte. E diciamolo: il pretesto  una volta è il gender, una volta è Fa’afafine, un’altra il Pride, stavolta Carmentano. Non credo tuttavia che la signora Giorgio o le interrogazioni dei suoi referenti politici possano sperare di spaventare il mondo più di quanto non lo abbia spaventato il terrorismo  fondamentalista che continua a minacciare di far saltare in aria il duomo bolognese di San Petronio per via di quel Maometto seviziato e collocato all’inferno nell’affresco quattrocentesco di Giovanni da Modena. In realtà se ci pensa, gentile signora, i fondamentalisti ragionano con la stessa stringente logica  del suo Popolo della Famiglia e in questa logica avrebbero pure ragione, perché di certo il Profeta torturato, umiliato e condannato al fuoco eterno non è proprio un bel vedere per la sensibilità religiosa di chi ha un credo diverso dal suo. Ma, ci scommetterei, che lei direbbe che chi si sente offeso può anche andarsene dal nostro Paese. Ecco. Ottima idea. Chi si sente offeso, non vada al museo e non ci porti i figli. 


         °°°0O0°°°