
Una cifra
personale e inconfondibile è il filo di
Arianna che da oltre trent’anni consente
all’artista Comminiello di avventurarsi negli insidiosi labirinti della
sperimentazione senza fermarsi e senza allontanarsi da se stesso. Il suo
percorso, infatti, non conosce soste, ma il suo andare avanti non è mai
negazione o ripensamento del passato, piuttosto è un dialogo continuo con quel
mondo che, come scriveva il filosofo Albert Camus, se fosse chiaro non
consentirebbe all’arte di esistere. Ed è proprio il mondo, con il cumulo delle
sue infinite contraddizioni, che tormenta l’artista e, contemporaneamente, lo
esorta al cammino, disseminandogli la
via di dubbi e di ansie come tracce di possibili mete dell’umanità. Ed è per questo che da quella sorta di caos primigenio, che qualche anno fa
esplodeva nelle opere di Comminiello con una gremitissima raffigurazione spesso
circoscritta in forme quasi uterine, oggi si fa spazio e si libera un racconto
di intensa e filosofica sacralità del quale è elemento propulsore l’ambigua informalità
di certi sfondi.
Una simbologia a tratti sibillina,
a tratti così palese da farsi fabula, occupa perennemente il proscenio
nell’opera di Comminiello e svela la complicata semplicità dell’esistenza, il
nascere spontaneo della vita, il dominio del tempo, lo stupor delle creature perse
nell’infinito. Il seme, la clessidra, la pietra, le isole orfane di una pangea
e ancora alla ricerca del proprio posto nell’universo, l’onda di una piena che
rapisce e seppellendo salva, l’ἰχϑύς sono
elementi base di questa narrazione e continuamente mediano
la disputa tra umano e divino, tra cuore e ragione.
E l’artista Comminiello, avvertendo la
limitatezza della propria condizione di uomo di fronte alla grandiosità della
creazione e la pochezza delle sue parole così insufficienti ad esprimerne il
senso, si danna nella ricerca di qualsiasi accento che sia capace di rendere
plastica la passione che arde nel suo interrogarsi perpetuo. Le sue opere,
grazie ad una elaborazione tecnica
originale e suggestiva, appaiono come in uno stato di continua metamorfosi, ora
gonfiandosi, ora scavandosi, cosicché le tre dimensioni si rincorrono, si
piegano, si tradiscono. Le tramature accurate, i tocchi d’oro non riescono a volte
a trattenere la fuga di elementi in rilievo che sembrano volersi sottrarre all’apparente
silenzio del fondo per impossessarsi di ogni vibrazione di luce; altre volte la
proiezione è verso l’ “interiorità” dell’intaglio che è come uno scavo alla
ricerca di sé dentro sé. La contrapposizione di superfici ora lucide, brillanti
e geometricamente strutturate, ora scabre e popolate di segni, a tratti quasi
miniate, traduce in maniera quanto mai immediata la tormentata ispirazione
dell’artista che sussurra il suo verbo nella pacatezza di un colore che
improvvisamente si fa urlo nella solennità del nero, nel rosso divino che, assumendo
l’atemporalità dell’oro, sferza i confini del qui e ora e si fa eterno. Il
tutto senza retorica, senza ridondanza, piuttosto con quella semplicità che in
natura sa essere spettacolo, turbamento,
spavento; come in un temporale che è ombra e tremore, luce e vita.
Anna R.G. Rivelli